Con l’arrivo nelle sale di Gravity, nuovo film di fantascienza di Alfonso Cuarón, interpretato da Sandra Bullock e George Clooney, tornano alla ribalta i reali rischi ai quali sono sottoposti gli astronauti impegnati in attività extraveicolari o E.V.A. (ExtraVehicular Activity).
Nel film di Cuarón la minaccia si palesa nella maniera fantascientificamente più classica: un bolide (qui rappresentato da un vecchio satellite) colpisce astronave e astronauti, con drammatiche conseguenze per entrambi.
Utilizzare l’espediente narrativo dello scontro spaziale con corpi vaganti, per ravvivare la storia e creare suspense, è vecchio come la stessa fantascienza: in Dalla terra alla Luna, di Jules Verne, l’incontro ravvicinato con un corpo celeste è all’origine delle conseguenze drammatiche che i protagonisti scopriranno solo alla fine del libro. Cinematograficamente, gli asteroidi distruggono un’astronave all’inizio nel classico russo del 1962 I sette navigatori dello spazio, così come accade nel catastrofico Meteor del 1979; in tempi recenti, l’avanguardia meteorica dell’Armageddon di Michael Bay, distrugge in orbita lo Space Shuttle Atlantis (che ringrazia, dal suo buon ritiro presso il John F. Kennedy Space Center in Florida), mentre micrometeoriti portano alla distruzione dell’astronave “Mars 2” in missione di salvataggio verso il Pianeta rosso di Brian De Palma, e solo per citarne alcuni.
Il pericolo per le capsule spaziali abitate e la Stazione Spaziale Internazionale (I.S.S.) di scontrarsi con corpi vaganti non è però solo una fantasia di scrittori e sceneggiatori, ma un dato di fatto che ogni anno diventa più probabile, con l’aumentare in orbita della cosiddetta “spazzatura spaziale”. Ma per quanto possibile, i continui monitoraggi da terra e quelle che potremmo definire “manovre evasive” in puro stile Star Trek, rendono remota la probabilità di un contatto catastrofico.
Ma in un ambiente estremamente ostile come quello dello spazio esterno, la realtà può essere più terrificante, nella sua banalità, di qualsiasi sceneggiatura, come ha purtroppo letteralmente sperimentato sulla sua pelle il nostro connazionale e astronauta E.S.A. Luca Parmitano, ospite per sei mesi, dal 28 maggio 2013, sulla Stazione Spaziale Internazionale nell’ambito della missione “Volare”.
Il 16 luglio 2013, durante la sua seconda E.V.A., qualcosa non è andato come doveva e ha rischiato di affogare nel proverbiale bicchiere d’acqua: dopo un’ora e mezza fuori dalla stazione, per quella che doveva essere una passeggiata programmata di quasi 7 ore, il dramma si è presentato sotto forma di innocue gocce d’acqua addensatesi dentro al suo casco.
Non meno pericolose degli alieni penetrati nel casco dell’astronauta di Apollo 18, le gocce si sono trasformate in un incubo per Luca Parmitano, che così racconta nel suo blog questa esperienza, dopo aver ricevuto l’ordine di interrompere l’attività extraveicolare per motivi di sicurezza e rientrare nella camera stagna: "E in quel momento, mentre mi posiziono a 'testa in giù', due cose succedono contemporaneamente: il sole tramonta, e la mia capacità di vedere, già ridotta dall’acqua, svanisce del tutto rendendo inutilizzabili i miei occhi; e, molto peggio, l’acqua ricopre il mio naso – una sensazione davvero sgradevole, peggiorata dai miei sforzi, inutili, di spostare l’acqua dal mio volto scuotendo la testa. La parte superiore del casco è ormai piena di acqua, e non so neanche se la prossima volta che respirerò dalla bocca riuscirò a riempirmi i polmoni di aria e non di liquido. A complicare il tutto, mi rendo conto che non sono neanche in grado di capire in che direzione andare per rientrare all’airlock: riesco a vedere solo per poche decine di centimetri intorno a me, e non riesco a individuare neanche le maniglie che utilizziamo per muoverci intorno alla ISS”.
Grazie all’addestramento ricevuto e a un pizzico di fortuna, l’avventura di Parmitano finisce bene ma la drammaticità del momento è ben rappresentata nel video in cui si vedono i colleghi che liberano l’astronauta dalla sua tuta in maniera insolitamente concitata (per i rigidi protocolli N.A.S.A.). La commissione chiamata a indagare i motivi dell’anomalia, coadiuvata dagli astronauti in orbita, ha individuato nel malfunzionamento del dispositivo di recupero della condensa la causa dell’incidente. La tuta sarà presto riparata e pronta per essere riutilizzata in sicurezza, ma da questa esperienza Luca Parmitano, già resosi disponibile a terminare quanto precocemente interrotto all’esterno della stazione, ne ha tratto una considerazione che è allo stesso tempo un monito e il perfetto incipit per una serie fantascientifica che si volesse calare nella realtà astronautica di oggi: “Lo Spazio è una frontiera, dura e inospitale, in cui noi siamo ancora degli esploratori e non dei coloni. La bravura dei nostri ingegneri, e la tecnologia che abbiamo a disposizione, fa sembrare semplici cose che non lo sono, e a volte forse lo dimentichiamo. Meglio non dimenticare“.
Ecco il video che mostra gli ultimi minuti di attività extraveicolare di Luca Parmitano e i momenti in cui viene liberato dalla tuta extraveicolare EMU 3011 difettosa.
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