Trattenni il fiato e rimasi in ascolto.Il rumore si ripropose, uguale a prima. Impiegai un attimo, quindi spinsi l’interruttore generale e… mio Dio, lo vidi!È impossibile descrivere l’orrore. Sebbene non sia un tipo impressionabile sobbalzai, il cuore schiantato dalla paura.

Appollaiata sul davanzale, scorsi la sagoma raggomitolata di quella che sembrava una grossa scimmia. Pensai di sognare, ma l’essere che avevo davanti era più che mai reale.

Era qualcosa… qualcosa che sfidava ogni immaginazione. La pelle giallastra, irta di ciuffi neri, ricopriva ossa e tendini in rilievo e le unghie, curve e appuntite, erano fuori misura.

La creatura senza naso e dalla mascella sfuggente mi fissò. Le sue grandi pupille, di un nero intenso, riflettevano la luce.

La cosa più tremenda era la sua espressione: l’ostilità che brillava in quegli occhi mi tenne inchiodato. Riuscivo soltanto a guardarlo, ipnotizzato. La mente annebbiata, la spina dorsale di ghiaccio.

La posizione acquattata mi aveva tratto in inganno; eppure esaminandolo con sgomento, non assomigliava per niente a un animale. Ma neanche a un individuo...

Chi diavolo era? Non apparteneva a questo pianeta.

Mi domandai che cosa dovevo fare.

Nel suo sguardo spietato scorsi strani luoghi, costellazioni lontane, ammassi caotici di stelle e pianeti. Riconobbi Orione, il più brillante dei sistemi, a forma a clessidra. E il vicino astro di Sirio, con il suo lucente riflesso bianco e blu.  

Contemplai quella terribile manifestazione tra l’incantato e l’atterrito. Avvertivo un desiderio ineluttabile di abbandonarmi a un dolce oblio e all’annientamento della mia persona. Volevo consegnarmi al mio nemico, estasiato come una falena che gira intorno alla fiamma. Ero avvinto, affascinato, disposto alla più estrema e irreparabile delle rinunce.

Per quanto ne fossi cosciente non resistevo al richiamo che mi martellava nella testa. Dovevo avvicinarmi, dovevo toccare quell’essere. Lui aveva le risposte alle mie domande. Lui era la risposta a tutto, il custode immortale della storia.

Mossi un passo verso di lui, accecato dal sogno dissennato di abbeverarmi alla sua conoscenza. Il muso della creatura non appariva più così raccapricciante. Era il volto di una mummia, antica centinaia di secoli. Ma ancora viva.

Una luce brillò in fondo ai suoi occhi. L’inganno cadette.

Compresi di essere la sua vittima e sentii il veleno scorrere nelle vene. Un urlo mi eruppe dalla gola. Era mia ultima ora.

Conscio della minaccia, ebbi appena la forza di reagire, un attimo prima che la creatura si scagliasse contro di me.

Mi gettai fuori dal letto e con l’inesperienza di chi affronta un rischio mortale afferrai l’abat-jour sul comodino, staccando il filo dal muro, e la brandii come una clava.

Sotto i piedi la moquette. Anche il soffitto insonorizzato e la spessa porta di legno congiuravano contro di me, smorzando ogni rumore. Gridai come un disperato, invocando aiuto. Ma le altre finestre sul cortile dovevano essere chiuse poiché nessuno rispose. Ero in trappola. E mi sentii perduto.

La creatura si mosse con insospettabile agilità.

Schivai per un soffio il suo morso ma non l’artiglio che mi raggiunse alla spalla sinistra mentre mi rifugiavo in fondo alla stanza. L’essere si accovacciò, leccandosi l’estremità dell’arto, eccitato dal sangue; poi tornò a fronteggiarmi, irriducibile, con un ringhio feroce, pronto a scattare.

Con un balzo, si materializzò tra me e le porte del bagno e del corridoio, tagliando ogni via di fuga. L’idea di scansarlo e guadagnare l’uscita era pura speranza: mi avrebbe ghermito al volo, prima che potessi mettermi in salvo.

Sudai freddo mentre l’osservavo sempre con la lampada in mano, quasi senza respirare, cercando di tenerlo a distanza.

Si spostava chino in avanti usando le gambe e le braccia, e non capivo che cosa volesse fare. Mi fissò. C’era una specie di sottile piacere dietro a quell’aggressività inumana.

Strinsi più forte l’abat-jour, per timore che scivolasse dalle mie mani sudate; qualunque intenzione avesse, l’avrei scoperta molto presto.

La situazione era disperata. Non c’era neanche qualcosa su cui arrampicarmi. Non avevo speranze.

L’essere tagliò la camera in diagonale, stringendomi in un angolo. A fatica, cercai di guadagnare qualche centimetro.

Pochi istanti e mi avrebbe attaccato, lo sentivo. Ero troppo agitato per ragionare, ma non volevo soccombere. Avrei usato tutta la mia volontà per resistere.

Gli gettai addosso la sedia con i vestiti, ma non servì. Con una zampata la scagliò da parte, lacerando l’imbottitura.

A quel punto, era a un paio di metri e si avvicinava. Poi si fermò. Drizzò la testa e mi guardò, preparandosi ad assestare il colpo di grazia; ne percepivo l’odore nauseante, come di foglie marce e altre sostanze in putrefazione.