– E poi altri quarantasette minuti, giusto?– Sembra di sì.
Andrew non aveva previsto tutta quella paura.
Non era lo spazio aperto. Quello non lo spaventava da troppo tempo. Era quel dannato countdown. Quegli ultimi quarantasette minuti e… no, sedici, ora, solo sedici minuti. Poi il silenzio quello vero, probabilmente. Quello che si porta dietro il terrore. E la morte. Il nulla.
Il neuro visore gli aveva mostrato l’Alone per quello che era, così simile a come veniva visualizzato dagli strumenti di distanza. Una bolla sfocata, qualcosa di simile a un liquido leggermente fluorescente. Se così non fosse stato, non lo avrebbe nemmeno visto, proiettato sul nero assoluto che lo circondava. Eppure l’Alone c’era, adesso che Andrew era lì fuori ne percepiva anche… cos’è che ne percepiva? Se lo stava chiedendo da quando lo aveva visto per la prima volta dopo il balzo, meno di mezz’ora prima. La forza distruttiva? No, non poteva essere quello, perché nonostante tutto, anche da poche centinaia di migliaia di chilometri, sembrava innocuo.
L’importanza, ecco. Andrew ne percepiva l’importanza. Per se stesso, soprattutto, che era arrivato fino laggiù, a ridosso dell’orbita del piccolo e insignificante Plutone. Nemmeno un pianeta, Plutone. Come lui, che non si sentiva nemmeno un uomo. Un piccolissimo, dannato uomo.
E davanti, a coprire ogni angolo di visuale verso l’esterno del Sistema Solare, lui, l’Elemento K2, l’Alone. Questa insignificante massa di… nulla, che mangiava tutto e cresceva, cresceva senza sosta. Il TA Groversen era stato chiaro: supererà la Terra senza “mangiarla”, ma continuerà a crescere e la ingloberà entro due anni. Deve essere fermato prima. Capito, prima, perlomeno.
Andrew gettò un’occhiata alle sue spalle. La sagoma della navetta era appena un’ombra tra il nero. Immaginò Roger Truckman dietro i comandi mentre reperiva dati sulla natura dell’Alone e li proiettava verso la Thrill, verso la Terra.
– Sei sicuro che vuoi andare là fuori? – gli aveva chiesto ancora un attimo prima che tutto fosse pronto per l’espulsione.
Andrew aveva annuito. – Quello che posso registrare io con i sensori della tuta di Herts potrebbe sfuggire a te.
Roger aveva annuito.
– Cambia poco morire qui dentro o là fuori, no?
– Morirai qualche secondo prima di me – aveva scherzato il pilota. – Pregherò per te, amico.
Andrew si collegò al neuro-processore e chiese il nuovo countdown. In un angolo della sua mente il dato venne “visualizzato”: 14m 34s. Attivò la registrazione dati della tuta e l’invio automatico verso la navetta, che avrebbe fatto da ponte per raggiungere la Thrill. Aveva venti minuti di autonomia.
Sei minuti per quello che c’è dall’altra parte, si disse.
Sorrise e fissò ancora l’Alone. Lì c’era la morte. O la speranza? Ancora quattordici minuti di attesa. Poteva pensare. Poteva solo pensare, ora. E forse il tempo che rimaneva non era poi molto.
– Reverse Time?
– Cosa succede, ragazzo, adesso sei tu quello sordo?
Andrew scuote la testa, incredulo. – No, ma…
– E allora, non farmi perdere tempo con domande sciocche. C’è qualcosa che non hai capito? In caso posso spiegare ancora.
Sorride, Andrew, e scuote la testa. – Qualcosa che non ho capito, dici? – Fissa il vecchio amico Mamert Freeser, genio della fisica dimenticato in un angolo per problemi politici. Questa almeno è la teoria più diffusa. – A dire il vero non ho capito quasi niente di tutta la spiegazione, se non la parte legata al risultato finale.
– Bene, da un capitano della flotta non mi aspettavo niente di meno.
– Quello che dici che probabilità ha di essere vero?
Freeser piega la bocca in un sorriso strano, poi alza le spalle. – Lasciamo perdere le probabilità, ragazzo, perché tra incertezze quantistiche e canali temporali che potrebbero aprirsi, con relativi paradossi che… non mo dilungo, sta bene. Non posso darti dati certi. Per dirla scherzando, è la probabilità più improbabile che abbia mai studiato.
Non ride della battuta, Andrew, rimanendo con gli occhi puntati sull’olo-display. – Un’anomalia temporale, dici.
– Non ho detto proprio così – corregge il fisico – ma ci può stare. Per intenderci, immagina il tempo come un tessuto teso, un tessuto impermeabile che separa le diverse linee temporali. Ci sei?
– Ci sono.
– Sto dicendo delle cazzate per fartela facile, eh?
– Vai avanti.
Freeser va avanti. – Ora a un certo punto, da qualche parte là fuori, questo tessuto si è lacerato. Non ci interessa il perché. È successo e basta. E da quel tessuto…
– … è venuta fuori questa anomalia temporale.
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