Il suo handicap fisico, il suo essere escluso da coloro che lo circondano non gli impedisce di avere un sogno: Alba, una bellissima ragazza che lavora nel suo quartiere e che lui si accontenta di sognare da lontano. Ma Alba non è come lui: è una nexumana, una persona la cui mente è stata caricata su un supporto informatico e il cui corpo è interamente artificiale. Anche lei, a modo suo, una persona diversa, estranea alla collettività, sottoposta al giudizio degli altri e ai pregiudizi su quelli come lei. La vita di Peter Pains cambia un drammatico giorno quando la gang di teppisti guidata da suo fratello, che odia i nexumani, rapisce Alba e la fa barbaramente a pezzi. Da quel momento Peter Pains avrà due soli obiettivi: recuperare tutti i pezzi per ricostruire la sua amata Alba. E la vendetta.Il sogno dell’uomo di poter dare vita a prodotti con caratteristiche che replicano le potenzialità umane è antico almeno quanto l’uomo stesso e ha influenzato a più riprese anche l’immaginario collettivo, il quale, spesso per riflesso, ha creato gli spunti per la prosecuzione di tale sogno. Molte icone della fantascienza hanno reso manifesto il dualismo corpo-mente che è alla base della comprensione della diversità e della disabilità.
Il corpo gioca un ruolo di sutura fra mondo fisico e mondo simbolico e tra questo e il mondo dell’affettività: sì, perché proprio quest’ultima dimensione, apparentemente mentale, altro non è che un aspetto del vissuto corporeo che si realizza attraverso il dialogo tonico, dando avvio alla percezione di sé e dell’altro. È quello che succede anche a Peter Pains, che nel desiderare Alba e nel rimettere insieme i suoi pezzi – dalla testa al torace, passando per le gambe – costruisce nella sua mente anche un’ideale di Alba di cui alla fine, nel momento della ricomposizione, avrà paura.
Ecco cosa Peter confessa ad un altro personaggio del romanzo, verso la fine dello stesso:
“Sai Ion… Finché il sogno era irrealizzabile, finché correvo dietro a un fantasma, ho contato i giorni e ogni giorno contava. Avevo uno scopo e un compito da svolgere. E sì ho perso la direzione molte volte, ho sbagliato a fidarmi e tutto il resto… Però ora, di fronte a lei, ho quasi paura che quel sogno possa avverarsi.”
Sono ormai molte le occasioni nella vita di tutti i giorni in cui è possibile soffermarsi a riflettere su come e quanto la tecnologia stia modificando il corpo umano e stia trasformando molte delle azioni che si eseguono quotidianamente: gli strumenti tecnologici, in uno scenario che va dai sistemi informatici alle biotecnologie, influenzano profondamente il corpo a livello psicologico, fisico, culturale. L’essere umano è coinvolto in questo processo non solo a livello sociale e di rapporti interpersonali, ma ne diviene il destinatario principale in quanto entità psicologica, fisica e biologica. È il corpo nella sua totalità ad essere al centro del rapporto tra uomo e tecnologia. In tal senso, Livido è una perfetta metafora di tutto ciò.
Non a caso, centrale in molte storie di fantascienza è spesso la tecnologia che ha cambiato radicalmente il rapporto tra l’essere umano e la società, poiché gli strumenti tecnologici presenziano ora in quasi tutti gli ambiti dell’esistenza: dall’arte alla medicina, dai trasporti all’architettura, dall’informazione alla didattica.
La figura del cyborg, ad esempio, è stata usata come metafora dalla filosofa femminista Donna J. Haraway in un suo famoso saggio dal titolo Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo (Feltrinelli, Milano 1995), in cui è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le categorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà: il “[…] cyborg è un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione”.
La Haraway utilizza il cyborg per indicare la nuova condizione ;;di simbiosi con le macchine caratteristica dell’età industriale avanzata. In questo senso il cyborg non è che la nuova versione di una figura di cui sono pieni i miti di tutti i popoli, cioè l’ibrido.
Ma se l’ibrido del mito è una figura mista fra uomo e animale, il cyborg fa entrare in gioco un nuovo partner, la macchina. Da un lato ciò conferma in qualche modo che la tecnologia è davvero diventata una seconda natura dell’uomo, e che l’ibrido corrisponde sempre a una condizione ideale di integrazione fra l’uomo e il suo ambiente; dall’altro lato c'è una differenza fondamentale fra gli ibridi del mito e il cyborg, perché, mentre l’unità fra uomo e natura di cui ci parlano centauri, fauni, arpie e chimere è collocata in un lontano passato, in una mitica età delle origini, l’integrazione cui alludono i nuovi ibridi uomo-macchina è invece ancora tutta da costruire.
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