La scala terminava su un breve corridoio, anch’esso costruito in pietra antica e butterata e illuminato da tremolanti lampade a gas, al termine del quale c’era un’altra porta. Una guardia in uniforme nera stava rigidamente sull’attenti davanti all’uscio, osservando senza battere ciglio l’avvicinarsi di Blackwood. Rimase perfettamente immobile, ma l’investigatore speciale sapeva che sarebbe passato fulmineamente all’azione violenta se le credenziali che aveva appena presentato non si fossero dimostrate del tutto in ordine. La guardia esaminò il portafogli di pelle che Blackwood teneva aperto, poi annuì una volta e si fece da parte. Blackwood aprì la porta ed entrò in un primo ufficio alle cui pareti erano allineati pesanti schedari in legno di quercia e al centro del quale spiccava una grande scrivania. Una donna di mezza età dal vestito impeccabile alzò lo sguardo dallo schermo cristallomantico del cogitatore che dominava la scrivania. – Ah, investigatore speciale Blackwood – disse con voce bassa e melliflua.
– Buona sera, signorina Ripley – rispose lui togliendosi cappello e soprabito e appendendoli all’attaccapanni accanto alla porta.
– Vi sta aspettando. Entrate, prego.
– Grazie. – Blackwood attraversò la stanza fino alla pesante porta di quercia dietro la scrivania della signorina Ripley, bussò a una porta ed entrò nell’ufficio interno.
Il capo dell’Ufficio Affari Clandestini di Sua Maestà, conosciuto solo con il nome in codice di “Nonno”, camminava avanti e indietro sulle gambe artificiali azionate a vapore, in chiaro stato di grande agitazione. Quando si fermava, ruotava su se stesso e ripercorreva il tratto appena percorso, piccole nuvolette bianche uscivano dalle ginocchia dei calzoni neri gessati, accompagnate dai lievi ma inconfondibili rumori di pistoni che soffiavano e acqua che gorgogliava. Il Nonno aveva perso entrambe le gambe vent’anni prima, nel corso della Seconda Guerra Afgana, mentre serviva nella Kabul Field Force sotto il comando del maggior generale Sir Frederick Roberts. Anche se la vittoria britannica sull’esercito afghano a Char Ashiab gli era costata cara, il Nonno ricordava quei giorni con grande affetto, e un ritratto di Sir Frederick era appeso accanto a quello della Regina sul muro dietro la scrivania.
– Blackwood! – disse il Nonno, girandosi con un leggero sibilo e un rumore metallico. – Gentile da parte vostra arrivare così presto.
– Dovere, signore.
– Sedetevi. – Il Nonno indicò una delle due sedie in pelle color amaranto davanti alla scrivania.
– Vi ringrazio – rispose Blackwood, evitando accuratamente di guardare le gambe del Nonno. Era un peccato, rifletté, che i tubi e le caldaie in miniatura situate nelle cosce rovinassero la linea degli eleganti pantaloni del suo superiore. Per la Regina e per la Patria, pensò filosoficamente.
Il Nonno si calò pesantemente sulla sedia e premette un bottone sulla scrivania. – Darjeeling? – chiese.
– Sì, grazie.
La porta si aprì e la signorina Ripley sporse la testa dentro l’ufficio.
– Sareste così gentile da portarci un bricco di tè, signorina Ripley?
– Certamente, signore – replicò lei, e richiuse la porta.
– Anche se oserei dire che voi preferireste del caffè, eh, Blackwood? – Il Nonno pronunciò la parola “caffè” come se fosse un’imprecazione particolarmente stomachevole. Blackwood si limitò a sorridere. Era vero che si era abituato a quella bevanda durante la sua ultima missione in America per indagare sul caso della Mummia del Wyoming. Quando al suo ritorno il Nonno lo aveva sentito dire a un collega di non essere del tutto sicuro di preferirgli il tè, aveva informato Blackwood che sarebbe stato solo leggermente più costernato se il suo agente avesse professato fedeltà al presidente McKinley invece che a Sua Maestà.
– No, signore – rispose Blackwood. – Il darjeeling sarebbe magnifico.
Il Nonno lo occhieggiò con sospetto. – Uhm… – Rivolse la sua attenzione a una cartella color camoscio appoggiata sulla scrivania, aprendola poi lentamente, quasi con esitazione, come se si aspettasse che qualcosa di assai sgradevole gli balzasse fuori in grembo. – Una terribile faccenda, questa.
Blackwood suppose si riferisse alla morte dell’ambasciatore, piuttosto che ai suoi gusti in fatto di bevande. – Proprio così, signore.
– La stampa ci ha battuto in velocità, il che non è mai una cosa buona.
– Difficile che andasse diversamente, vista la gravità dell’evento. Qualcuno che era presente li ha chiaramente informati alla prima opportunità. Sappiamo di cosa è morto esattamente l’ambasciatore R’ondd?
Il Nonno appoggiò l’indice sul contenuto della cartella. – Ho qui il rapporto preliminare dell’autopsia condotta dal dottor Felix Cutter, un medico legale assegnato al Ministero degli Esteri. Non è una lettura piacevole.
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