– E sono i Registri Akashici ad avere permesso lo sviluppo della cogitazione artificiale – proseguì entusiasta l’Aiutante. – È dai Registri che i cogitatori traggono le loro informazioni. Guardate, signore – aggiunse indicando l’apertura. – Ecco come si ottiene il risultato. Vedete quei minuscoli puntolini di luce eterica che fuoriescono dalle estremità dei tubuli? Sono gli echi delle informazioni contenute nei Registri. I miei colleghi le stanno trasferendo nei meccanismi interni del cogitatore: è in questo modo che si prepara la macchina per il suo normale funzionamento. Blackwood continuò a guardare quella frenetica attività. Le minuscole persone raccoglievano gli atomi di informazione non appena emergevano dalle estremità dei tubicini metallici e fluttuavano come infinitesimali schegge di luce nella camera di elaborazione, depositandoli successivamente in altri tubi e condutture che spuntavano dal fondo. Lavoravano così in fretta che Blackwood riusciva a stento a seguirne i progressi. Di tanto in tanto una delle persone si fermava, lanciava un breve fischio per attirare l’attenzione dei colleghi e teneva in mano uno dei puntini luminosi perché tutti lo vedessero. Questi atomi apparivano diversi dagli altri: erano più fiochi e avevano un colore livido e malsano. In queste occasioni, i piccoli lavoratori scuotevano vigorosamente il capo e la persona che aveva raccolto l’atomo offensivo lo gettava in un piccolo foro nel pavimento della camera prima di riprendere il lavoro.
– Quelli cosa sono? – chiese Blackwood.
– I Registri Akashici occupano solo uno dei molti piani eterici, signore – rispose l’Aiutante. – E alcuni di essi non sono tra i luoghi più salutari; anzi, tutto il contrario. Alcuni getterebbero un essere umano come voi nel baratro della pazzia dopo un solo sguardo. Di tanto in tanto, durante il funzionamento di un cogitatore, atomi di informazione provenienti da questi piani filtrano nel nostro mondo e quando avviene non fanno per nulla bene alla macchina, ve lo garantisco. È pertanto una delle nostre priorità più alte proteggerla da tali infezioni e minimizzare le probabilità che si verifichino.
– Dunque le dicerie sulle persone fatte impazzire dai loro cogitatori sono vere – disse Blackwood. – Ho sentito parlare di cose orribili intraviste per un attimo nei vetri di scrutamento; cose abbastanza terrificanti da spingere la gente alla pazzia o al suicidio.
– Oh, questo mi sembra un po’ esagerato, signore – ridacchiò l’Aiutante.
– Davvero? Alcuni dei miei colleghi a New Scotland Temple stanno indagando su una di queste storie proprio in questo momento.
L’Aiutante lo guardò e Blackwood avrebbe giurato di avere scorto un’espressione di profonda apprensione passare per un attimo sui lineamenti minuti dell’omino. – Oh, be’, non mi sento davvero abbastanza qualificato per avanzare ulteriori commenti su queste faccende, signore… tranne per dire che nessuna infestazione del genere si è mai verificata in un cogitatore Cottingley. Per quanto concerne i prodotti della concorrenza… be’, diciamo solo che la qualità ha un prezzo.
Seguì un silenzio piuttosto imbarazzante, durante il quale l’Aiutante fissò la camera di elaborazione con concentrazione ostentata, e che fu di lì a poco interrotto da un rumoroso bussare alla porta dell’appartamento di Blackwood.
– Vi prego di scusarmi – disse all’Aiutante, che sembrava ancora sconcertato dalla piega presa dalla conversazione.
– Oh, ma certo, signore. Ma certo.
Blackwood uscì dallo studio, attraversò il soggiorno fino all’atrio dell’appartamento e aprì la porta.
In corridoio c’era un giovanotto in completo a righe dal taglio antiquato, con una bombetta in una mano e una busta sigillata nell’altra. – Il signor Thomas Blackwood? – chiese.
– Sono io.
– Mi chiamo Peter Meddings. Ho un messaggio per voi, signore. È essenziale che veniate subito con me.
Blackwood prese la busta che gli veniva profferta, diede un’occhiata al sigillo di cera e disse al giovane di attendere qualche minuto. Poi tornò di fretta nel suo studio e trovò l’Aiutante che ancora fluttuava sopra il cogitatore sulla scrivania. – Devo assentarmi per questioni di lavoro – disse. – Voialtri sarete riusciti a mettere in moto quel marchingegno per quando tornerò, diciamo tra circa un’ora?
– Oh, senza dubbio, signore! Senza dubbio!
E, detto questo, l’omino si tuffò di nuovo nella macchina e lo sportellino si richiuse alle sue spalle.
– Uhm – borbottò Blackwood. Tornò nell’atrio, prese il soprabito, il cappello e i guanti e uscì per unirsi al giovane messaggero che aveva recato la convocazione.
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