La Sibyl.S’illumina attraverso il fango la pietra e i detriti, nonostante i gravi danni riportati: poi, si apre un invisibile portello ad iride.

Riconosco con i sensi l’odore della nave senza ricordarlo con la mente, una dissociazione psicofisica che mi lascia stonata e quasi ebbra. Il mio corpo ritrova un percorso che la mia coscienza ignora e, mentre salgo la scaletta che conduce al ponte di comando,

(monitor disciolti)

(pannelli di controllo bruciati)

(sedili divelti frammenti di vetro e metallo liquefatto)

(corpi carbonizzati)

(grida appiccicate dappertutto)

provo una nausea profonda, adrenalinica.

Ma.

Quando raggiungo il ponte, alle spalle del sedile che fu mio e di fronte al grande schermo ovoidale

(esplosioni olografiche/obiettivi abbattuti/rosse luci intermittenti di settori in avaria)

il dolore mi deflagra dentro, accecandomi.

Una feroce stretta al diaframma mi sbatte ginocchia a terra, il sangue trabocca dalle labbra e senza respiro inizio a gemere come un cucciolo investito a metà. In posizione fetale mi contorco e annego nel liquido bruno che sbocco a fiotti, svuotandomi come una cuticola dopo la muta. Lacrime roventi si affacciano sul bordo inferiore delle palpebre, mentre esausta, scossa da singhiozzi di vomito scuro, rimango a guardarmi riflessa nel soffitto lucido della nave

(come in uno specchio)

(le braccia aperte nella metafora di una crocifissione)

(o di un volo)

(la placca sul cranio)

(l’anello d’argento all’anulare sinistro)

(il pavimento coperto di sangue che non è sangue ma liquido amniotico e brulica di larve)

(milioni)

e, stupefatta, assisto all’istante della mia morte.

/ / /

- Capitano.

La voce è una luce e viene da lontano.

- Capitano, per favore.

Una donna. Si trova in un punto oltre la nebbia. Ascolto il suo calore come attraverso una pelle virtuale, una propriocezione indotta per stimolazione di aree corticali sovraccariche.

Perché è così che mi sento.

Sovraccarica.

In corto circuito.

- È finita. Apra gli occhi.

Controvoglia, ordino alle palpebre di sollevarsi. Mi piaceva il suono sommesso del buio tiepido, il suo sapore viola con un lieve profumo di antisettico.

Invece questa ragazzina chi diavolo è?

Indossa una divisa scura, un sorriso malfermo e ha raccolto i capelli in un severo chignon.

- Caporale Lee, signore. Ci siamo occupati di lei da quando abbiamo lasciato il sistema di Pteryon. Sono trascorsi… tredici anni terrestri dalla missione di recupero.

Mi accorgo che non è il tempo trascorso, non è il nome del sistema, né l’obiettivo della missione a farmi rabbrividire. È l’aggettivo “terrestre”.

- Cosa..? - mormoro con voce screziata di strane armoniche sintetiche.

- Il sistema di vocalizzazione va calibrato - dice frettolosamente il Caporale Lee, rispondendo al mio turbamento e prendendo un appunto mentale.