Fra le lenzuola, ancora il calore di qualcuno che non sono io.Per la prima volta conservo frammenti delle mie ore trascorse.
Strano. Piacevole. Terribile.
Ricordo lui, la sua voce che mi implorava di ricordare.
C’è qualcosa che divora la mia mente così come divora me nei miei incubi. Entòmi.
Non so immaginare che cosa siano.
Rabbrividisco.
Oh, è una follia.
Ma lui, questa notte, la prima fuori dall’oblio.
Prima di baciarmi.
Prima di entrarmi dentro.
Prima di venire.
Ripeteva.
Attraversa la notte.
- Il cibo, il sole, il calore... Le persone. Amavo le persone. Avevo giurato di proteggerle.
Le parole diventano sussurri, poi il volto dell’uomo si accartoccia in un pianto. Nel carcere militare diroccato, le sue dita stringono sbarre da cui cola sempre la stessa porzione di cielo. Seduta sopra un blocco di cemento, lo ascolto, accarezzando il rilievo dei tendini inservibili sotto l’artiglio.
La mia mano è fredda, pallida.
- All’università ero il primo del mio corso. Il primo a specializzarmi. Così sono stato chiamato. Mi hanno mandato su. E… li ho visti. Ho visto cosa facevano. Insetti schifosi, loro e chi li ha creati...
Alzo lo sguardo, colpita.
- Erano veloci e osceni. Avevo una paura fottuta. Volevo distruggere tutto, capisci. Tutto ciò che nascondevano nella stiva della nave-madre. Per il fottuto Generale e la sua squadra di criminali, la guerra era solo l’effetto collaterale di un gioco sfuggito di mano, un gioco a cui non intendevano rinunciare. Fui condannato a morte per ammutinamento. Ma quando il carcere è crollato, per ironia sono sopravvissuto. In trappola.
Tace.
Il sole è alto.
- In questa cella, eravamo quattordici - incalza l’ex medico ex soldato ex eccetera.
I suoi occhi brillano umidi nel viso distorto da un tic aritmico.
- L’ultimo è finito tre giorni fa.
Non rispondo.
- Ti faccio orrore, te lo leggo negli occhi - mormora, singhiozzando.
Respiro, osservando il suo pianto infantile, le labbra, la lingua e i denti che hanno conosciuto il sapore della carne umana.
Forse crede di essere il solo, penso ricordando il tizio del treno.
- Voglio solo morire - implora, le nocche bianche che sfiorano le guance.
Insinuo una mano fra le sbarre.
Accarezzandogli la nuca ispida, lo tiro verso di me quanto basta per appoggiare le mie labbra alle sue ed immediato sentire il sapore delle lacrime mescolarsi all’odore fetido della sua cella.
Chiudo gli occhi.
Profonda, continuo a baciarlo.
Tutto, purché smetta di piangere.
Poi.
Ad occhi chiusi.
Gli sparo in fronte.
Loro avanzano.
Gli Entòmi sono un esercito che brulica come un’epidemia, una piaga biblica, una follia percettiva da dipendenza alcolica. Invadono strade e vicoli e piazze già diroccati in una marea di zampe e corpi gonfi e palpitanti.
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