- Comunque» riprende, senza guardarmi negli occhi «la sua nave è stata abbattuta nei pressi di Anopheles, dove ha impattato, nel cuore della coorte ostile. Lei, Capitano, è sopravvissuta. Lei sola. La nave ha attivato l’SOS ad impulsi, prima di schiantarsi. Ricorda qualcosa?- No.
Cerco di ritrovare i volti del mio equipaggio, ma ne rimangono solo grida.
- Purtroppo… loro erano già arrivati.
- Gli... Entòmi..?
- Sì. Sa di che si tratta?
Scuoto il capo. Il Caporale deglutisce, ad occhi chiusi.
Allunga la mano verso un tavolino a levitazione magnetica e prende un tablet olografico che sistema a mezz’aria, davanti a me. Solo ora mi rendo conto, guardando attraverso la pellicola impalpabile del monitor, della camera sferica in cui ci troviamo. Un modulo di quarantena o qualcosa del genere.
Ma il Caporale non indossa particolari indumenti di protezione.
(Vorrei muovermi, ma braccia e gambe sembrano macigni)
Poi il video si attiva e iniziano a scorrere immagini di un pianeta a me familiare, forse Anopheles: ricordo l’atmosfera rarefatta, la superficie spugnosa
come un gigantesco favo
ricordo enormi strutture a grappolo, conglomerati urbani che si espandevano oltre ogni orizzonte.
- I resti del cacciatorpediniere, la sua Sibyl, sono stati individuati nel settore coloniale nord. Irrecuperabile.
- Come..?
- La prego - sussurra il Caporale, corrugando la fronte come per un dolore improvviso, un’espressione di cui ho un vago dejà vu.
Annuisco, riprende fiato.
- L’impianto corticale ci ha consentito di individuarla. È stata recuperata in uno dei grappoli di nidificazione del quadrante coloniale ovest, non lontano dal punto d’impatto. Il suo corpo era già... Trasparente.
Trasparente?
Rimango a bocca aperta, mentre i miei occhi si perdono in traballanti videoclip che ritraggono strutture nematoidi lunghe chilometri, ricoperte di sacche membranose irrorate da vasi sanguigni a lieve fluorescenza, lividi e purpurei complessi extra-uterini gravidi di creature non-umane/non-aliene, orribilmente mutilate.
Le vedo agitarsi in controluce.
Vedo corpi riempirsi di larve, vomitare sangue, cercare di lacerare le sacche e, infine, soccombere alla loro unica funzione: costituire riserva di cibo per le miriadi di creature incubate fino a quel momento.
Ho la bocca secca, gli occhi che bruciano.
Il Caporale solleva una mano, per poi ritrarla. Sembra a disagio.
- Gli Entòmi… cosa sono? - mi sento chiedere.
- Non sono alieni, nel senso di creature provenienti da un pianeta extraterrestre.
Con un elegante gesto della mano nasconde il monitor olografico, quindi mi guarda negli occhi.
- In realtà… siamo stati noi a portarli lassù.
- Un... esperimento per l’adattamento fisiologico della specie ad ambienti ostili..?
Annuisce.
Avevo sentito delle voci, ma non credevo si fosse già a questo punto.
- Gli Entòmi sono esseri umani?
- In un certo senso. Lo erano, quantomeno. Il campione sperimentale ha attecchito rapidamente sui terreni di coltura. Si è evoluto, in ogni senso possibile.
Un successo, penso, immaginando esperimenti di macelleria genetica condotti su umani “consenzienti”. La raffinata politica di omissioni su questo genere di cose è storia.
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