Bisognerebbe togliersi la tuta. Improponibile fuori da una capsula. E allora Keira si rialza con uno sforzo immane e prima di rimettersi in cammino riduce al minimo ogni interazione con l’esterno, disattiva i mobot non indispensabili, distribuisce quelli adibiti all’assistenza motoria verso la protezione delle zone erogene. Farà più fatica nella marcia ma forse riuscirà a venire solo il minimo inevitabile prima di arrivare alla capsula e aspettare con Bogosia e gli altri l’arrivo di un’altra squadra.Per i primi chilometri la cosa sembra funzionare. Ma l’attività intensa ha compromesso i sistemi, così quando si introduce nella versione extrasolare di una palude acquitrinosa, costellata da strani rampicanti stesi sopra la testa in posizione orizzontale a fare da tettoia per cataste di piccole piante grasse e nere, una sensazione di feroce sensualità le sfiora delicatamente il seno e il sedere, stimolandole nuovamente tutte le parti sensibili. È costretta ad accasciarsi contro un gigantesco tronco, tremando in preda agli spasmi, in attesa di una pausa tra i continui orgasmi per riprendere la marcia.I successivi chilometri li percorre affidandosi totalmente alla striscia luminosa tracciata dalla visiera nel bel mezzo della massa informe di organismi vegetali. La scorta di nutritivi vitaminici della tuta si va esaurendo e lei ormai vaga con la vista completamente annebbiata, cercando di seguire la scia luminosa sempre più affogata in un oceano di debolezza, chiudendo la mente in uno spazio ristretto nel quale neanche gli inibitori riescono a entrare. Ogni volta che sente un nuovo getto arrivare, sospira chiudendo gli occhi e mordendosi a sangue le labbra. Inizialmente cerca di resistere, poi si rende conto che è meno dispendioso lasciarsi andare al tremito incontrollabile che la sbatte sulla schiena ad agitare gli arti e a singhiozzare per il piacere che la sta prosciugando di ogni fluido vitale. Non riesce quasi più a cogliere la differenza tra le macchie vegetali che attraversa, ormai catturata in uno stato onirico completamente basato sull'esaurimento erotico. Ogni possibile perversione le attraversa la mente, tutte le fantasie di adolescente e i ricordi di adulta si ripropongono come un pugno in piena pancia, piegando la sua razionalità in un susseguirsi di furori autoerotici. Ha il fisico completamente fuori controllo. Difficoltà di coordinamento crescenti. Malfunzionamento di sistemi accessori parametri vitali in peggioramento infiammazioni locali in crescita inizio apertura piaghe immediatamente irrorate molecole disinfettanti bruciore aumento battito sinapsi induzione shock anafilattico scompenso circolazione scanner informativo sinottico poi un lampo e l’ultimo orgasmo che le penetra nel cervello come una lama incandescente, facendola urlare e imprecare, picchiare i pugni sulla testa e poi sul terreno in un pianto disperato di totale prostrazione.Keira riapre gli occhi con le spirali delle correnti aeree che hanno cambiato colore, diventando più scure e spesse, appena distinguibili sullo sfondo verdastro della notte. Apre e chiude gli occhi ogni volta che una nuova stimolazione la strappa a un sonno catalettico e le inchioda il respiro, spingendola a inseguire il mormorio di un incubo.
Quando si sveglia le spirali sono ritornate di un bel rosa vivido e allegro. La visiera mostra solo rumore semantico compresso. Buona parte dei sistemi della tuta è fuori uso, mentre lei è ancora percorsa da brividi e lo sguardo è offuscato ai margini. Tra i check sfasati e i sottosistemi al collasso riesce a intravedere dalla visiera diventata trasparente uno spicchio della jungla per come è, senza mediazioni. La completa alienità, un indistinto, proteiforme, massivo, contorto emergere di forme impossibili da confrontare con i suoi modelli geometrici. Keira prova timidamente a riavviare la visiera: i mobot hanno ancora scampoli di energia da riversare nei circuiti interni.
La prima cosa che percepisce sono una serie di allarmi sull’efficienza dei filtri di respirazione. La seconda è un grosso solco irregolare di terra bruciata che ha scavato un fossato nella vegetazione fitta e i cui contorni sono evidenziati dalla visiera con una bella traccia fosforescente. Al termine del solco una sagoma metallica riflette i raggi solari obliqui del mattino, mandando brevi lampi luminosi dalle punte degli alettoni contorti.
Trasale. La capsula di Bogosia. Riesce faticosamente ad alzarsi e a mettere a fuoco la visuale; una fiancata della capsula è sprofondata nel terreno in modo sbilenco, l’altra fiancata è consumata come se fosse stata sfregata da un’enorme mano di pietra. Keira si guarda intorno freneticamente mentre si arrischia nel potenziare l’emissione d’onda del casco.
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