Keira esce dalla modalità ricettiva e riconfigura l’assetto della tuta. In pochi istanti le suole degli stivali vengono rinforzate e si crea un cuscinetto elastico sotto le piante dei piedi. La traspirazione viene forzata al massimo mentre catene complesse di mobot si stabiliscono in prossimità dei punti di maggior sforzo dei tendini delle cosce, dei polpacci e sulle giunture delle ginocchia. Di colpo acquista una sensazione di leggerezza, come se fosse un’aquila appollaiata su un satellite a gravità ridotta. Aumenta la temperatura esterna del dorso dei guanti per facilitarsi il compito di scansare la vegetazione, controlla l’efficienza dei filtri per la respirazione e si mette in marcia.Inizialmente prova a tenere un passo cadenzato, ma quando si accorge della relativa facilità con cui riesce a fendere gli arbusti inclinati con strane angolazioni e le grasse foglie giallastre che le ondeggiano svogliatamente davanti al petto, ridistribuisce meglio il carico e adotta uno stile di corsa a passo breve. La visiera continua a tradurre tutto ciò che incontra attraverso sensori ad ampia banda, coglie tutti gli aspetti della vegetazione aliena e li riconverte in equivalente informativo compatibile. Nell’esperienza incorporata nella tuta Keira confronta i dati con quelli dei numerosi mondi non terraformati di quell’ammasso di sistemi chiamato Blocco Eridani: diciassette stelle di classe M comparabile raggruppate in uno spazio cubico inferiore a mezzo anno luce, settantanove pianeti e duecentosessanta lune le cui masse si influenzano a vicenda, in un frastornante equilibrio di spinte e controspinte che i cervelli quantistici faticano ancora a decodificare dopo una ventina d’anni trascorsi dal primo approdo di una sonda umana.La foresta si lascia attraversare opponendo solo una minima resistenza. I mobot analizzano tutte le lunghezze d’onda e le restituiscono la stereoscopia dei suoni. Nessun rumore riconducibile a qualche forma di vita animale, o dotata di apparati vocali in grado di emettere frequenze dinamiche in un’atmosfera a contenuto di propano, elio, ossigeno e una miriade di altri composti. Il mondo su cui si trova, la luna del secondo pianeta di Eridani 12, un semigigante gassoso che incombe oltre le spirali atmosferiche con i suoi tre anelli intersecati ad angolazioni variabili, sembra una serra a cielo aperto abbandonata da giardinieri distratti. Mentre calpesta l’erba riccioluta si mantiene ricettiva su tutte le frequenze utilizzate dagli scout. Sfila curvando la schiena sotto una schiera di grosse escrescenze che la visiera interpreta come felci giganti, talmente estese da causare uno sbalzo microclimatico e costringere la tuta a una frettolosa regolazione di umidità e temperatura. Per un attimo si sente avvampare, riduce i tempi di reazione e impreca contro la sfortuna e l’incapacità dei cervelli di prevedere l’improvviso sbalzo gravitazionale causato dal complicato intreccio di Eridani 12, 14 e 17, con relativi pianeti e lune, che ha mandato il plasma dei motori della nave base in controreazione. La nave ha lanciato lo stesso le capsule esplorative, come da programma, ma spedendole fuori sincrono e con istruzioni non aggiornate. Risultato: atterraggi di fortuna e un’intera squadra di scout sparpagliata su migliaia di chilometri quadrati di territorio.Sulla visiera l’indicazione di direzione e distanza è una stringa luminosa puntata verso la profondità tremolante di una jungla ignota. Sulla testa di Keira le spirali leggere di propano e ossigeno si mescolano e si dividono incessantemente. Affronta un pendio ostruito da versioni tradotte di alberi dal tronco corto e tozzo, i rami pesanti che tendono al terreno per poi impennarsi bruscamente a esporre fitte matasse di foglie aghiformi e frutti dal disegno rugoso e irreale. La tuta ridistribuisce i mobot sulle giunture per compensare lo sforzo; arriva agilmente in cima al pendio e ne approfitta per gettare uno sguardo intorno. Una pianura chiazzata da vegetazione di vari colori e di densità mutevole, lunghi colonnati lignei e fronde di tessuti acquosi simili a grosse spugne imbevute di melma. Scende saltellando e atterra con un ultimo balzo in prossimità di uno dei cespugli, che inizia a scivolare prudentemente di lato.
Keira non è particolarmente colpita. Scorre rapidamente l’elenco degli esemplari comunemente definibili “vegetazione” che mostrano limitate capacità di movimento. Osserva meglio la massa spugnosa, un fitto reticolato di fogliame stretto e sottile intrecciato in maniera tale da sembrare un agglomerato compatto. Si abbassa per capire la dinamica del movimento: la visiera le mostra centinaia di foglie più robuste vibrare impercettibilmente a contatto con il terriccio soffice, provocando un movimento leggermente a scatti. “È un vero peccato che ora non possa seguirti. Vado di fretta.” Il suono della sua voce le rientra nei timpani come un acuto ricordo, una richiamo sottile e roco. Riprende la corsa tranquilla tenendo d’occhio le indicazioni della visiera e continuando a provare la comunicazione vocale con Bogosia, ma senza l’appoggio degli amplificatori delle capsule le interferenze geomagnetiche del gigante gassoso riducono il tentativo a un baccano afono.
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