E il suo nuovo nemico è ben diverso, invece, forte, violento e spietato: è Bane. E se nel secondo avevamo avuto il passaggio dalla criminalità al terrorismo qui il terrorismo diviene rivoluzione.Gotham sembra ormai pacificata, gode del Dent Act che ha permesso di riempire le prigioni sgominando il crimine organizzato, ma tutto questo solo per mostrare l'estrema ingiustizia sulla quale si regge la città stessa. I ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.C'è poco da difendere per Batman se ai criminali si sostituiscono i cittadini in rivolta. Perché è rivoluzione quella che vediamo.
Stavolta il film è corale, le storyline sono multiple: quella di Bane e del piano di conquista di Gotham spinta verso la rivoluzione, quella di Gordon che non regge più il peso della menzogna sulla quale ha retto la giustizia negli ultimi anni, quella di Catwoman alla ricerca di una nuova identità che cancelli la vita precedente, quella di John Blake, che vuole abbandonare i panni del poliziotto di pattuglia e, infine, quella di Bruce Wayne che esce dallo stordimento per rendersi conto che la sua è voglia di morte, e null'altro.
Tutti i personaggi andranno incontro alla morte, al cambiamento. E qualcuno, addirittura, tornerà indietro dagli inferi.
Perché è Ra's al Ghul a tornare (in un sogno di Bruce che forse sogno non è) insieme alla sua Lega delle Ombre, stavolta guidata dalla figlia, che come il padre si nasconde sotto mentite spoglie fino all'ultima mezz'ora del film, coadiuvata da Bane.
Bane si definisce “necessary evil” un male necessario non solo all'Eroe per tornare sulla scena ma anche all'intera Gotham per morire e rinascere.
Il mondo di Bruce incomincia a morire pezzo per pezzo: prima la Wayne Enterprises, poi lui stesso ridotto a cittadino comune, infine Alfred che lo abbandona. Di Alfred, fino ad ora, non abbiamo parlato. Ma il maggiordomo è stato scelto, a mio giudizio, da Nolan per incarnare ciò che il Coro era nella tragedia greca. La voce fuori, campo, quella che sottolinea le azioni, le giudica e spinge avanti l'azione.
È vicino a Bruce quando da piccolo cade nel pozzo e lo segue passo passo cercando di conformarlo a quella fantasia che ha coltivato negli anni: un Bruce pacificato, che beve un caffè in Italia. Ma l'amore di Bruce Wayne per Gotham è troppo forte per riuscire a staccarsene.
Alfred desiste e va via prima di vedere autodistruggersi il suo “master” per un amore impossibile e non ricambiato.
Batman ritorna, ha il tempo di provare qualche gadget nuovo e imbattersi in Selina Kyle, in arte Catwoman, con la quale imbastisce il rapporto più vero che abbia mai avuto con una donna.
Si lascia anche tradire e consegnare a Bane, nella sua voglia di morte. Ma da qui nasce la voglia di vita, il rimpianto per Catwoman e il cammino finale per Batman.
Si torna nel pozzo.
La “prigione di Bane” è un pozzo dal quale bisogna uscire da soli, non c'è un buon padre munito di corde che viene a salvarti, o ce la fai da solo o muori.
Nel fondo del pozzo Bruce pensa di non dover più affrontare la paura, ma si sbaglia.
Esiste la paura del giovane: quella di crescere, staccarsi, diventare indipendente ed esiste quella del vecchio: la paura di non avere più speranza, la paura che fiacca lo spirito, la paura che indebolisce le membra e rende meno lucida la mente.
Bane tortura Bruce con le immagini della sua Gotham isolata dal mondo e ormai preda di un “governo del popolo” che sa di Terrore Giacobino (la rivoluzione non sembra alla fin fine aver generato buoni frutti) e Bruce, spezzato nel corpo, ma soprattutto nello spirito, viene guidato a capire che la paura non va negata, ma usata come spinta per uscire dal pozzo stesso.
Niente più corde di sicurezza per salire lungo le pareti e il solo “Rise” ripetuto come in un mantra nella lingua della prigione che spinge Batman a (ri)sorgere.
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