- Sì - ti avevo risposto - ma non ti aiuterò ad ammazzarti. Eri trasalita, facendoti se possibile ancora più pallida. Mi eri passata davanti senza aprire bocca, entrando nel nostro soggiorno.- Non hai cambiato niente, da quando me ne sono andata - avevi osservato mentre accarezzavi assorta la nostra prima coppa, quella montata in plexiglass.- Hai sentito? Non ti aiuterò: non per una missione del genere. Fatti aiutare dalla tua amichetta della tivù.
Questa volta eri arrossita, tanto da notarsi anche sotto la pelle cotta dalle radiazioni.
- Non stiamo più assieme - mi avevi detto, tranquilla, pur sapendo che mi avresti annodato le viscere con quella frase.
- Be’ - avevo trovato la forza di rispondere - mi spiace per voi. Ma così è la vita, no?
- Non sono venuta a parlare di lei, o di noi due - avevi puntualizzato, secca. - Non ti chiedo di riprendermi nel tuo letto. Ti chiedo solo di essere con me in questa impresa. Lo sai che mi fido solo di te.
Perché, perché dopo tre anni ancora riuscivi a farmi così male?
- Lo vuoi capire che non ti aiuterò ad ammazzarti? - Forse continuando a ripeterlo avrei finito per crederci. - Quell’orbita è impossibile, e lo sai meglio di me.
- No, non lo è, se tu mi aiuti.
- Pulcina, forse non ti è chiaro: Io. Non. Ti. Aiuterò. Non stavolta. Nemmeno le sonde sono mai sopravvissute al passaggio. Quell’orbita non esiste, è solo un inganno dei computer, un errore di calcolo.
- Quell’orbita esiste - avevi insistito. - E io posso farcela. Ma ho bisogno di te. Della tua magia. Della nostra magia.
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