Nell’aprile 2009, a tre mesi dalla scomparsa, insieme al compianto Ernesto Vegetti organizzammo un ricordo di Lino Aldani a Fiuggi, sede della convention del fantastico Deepcon/Italcon, che quell’anno ospitava anche il festival internazionale della Eurocon. Quegli omaggi restano, purtroppo, ancora inediti. Nell’estate 2010 parve giungere un’occasione per riprendere e rielaborare le mie note ma, ancora una volta, quel ricordo sembrò segnato da un destino tormentato. È dunque con immenso entusiasmo che accolgo l’ospitalità cartacea di Next e quella online di Delos.
Per quasi cinquant’anni, il genere popolare della fantascienza ha offerto uno spazio di espressione e sperimentazione a un autore lontano dall’industria del best-seller (come ad altri che hanno seguito le sue orme). Una nicchia certo, ma una nicchia di libertà. Spetta a noi continuare a promuoverla e ad allargarla.
Per chi desidera leggere o rileggere Aldani, le ristampe più recenti sono reperibili in Urania Collezione e l’opera omnia narrativa è in alcuni volumi della Perseo/Elara. Mettiamoci alla ricerca, a partire dalla bibliografia online consultabile sul Catalogo Vegetti: http://www.fantascienza.com/catalogo/autori/NILF10059/lino-aldani/. Non sarà molto in termini di grandi numeri della visibilità: è forse questo il destino delle letterature “minori”. Ma è un’occasione per mantenere intatta la memoria storica di un passato recentissimo. Anche in Italia come altrove, la fantascienza è viva. Purchè lo siamo noi.
Il primo racconto di Lino Aldani lo lessi nel 1978, a 15 anni: Visita al padre, su Robot. Uscita nel 1976, quando si poteva ancora parlare dei computer game come fantascienza, la storia metteva a confronto un dirigente d’azienda, con la sua vita alienata in una Milano che allora appariva ipertecnologica, e il suo anziano padre ritiratosi a vivere in campagna. Un confronto senza riconciliazione, una parabola disperata che non offriva la rassicurazione del ritorno a uno stile di vita più “autentico”: chiaramente, proprio i sogni bucolici del padre erano la radice profonda per l’insoddisfazione del figlio. Negli anni del punk, la fantascienza di Aldani esprimeva una rabbia che era ovunque nell’aria: no future perchè no present e no past. Alcuni lettori obiettarono con veemenza per l’esilità dell’armamentario fantascientifico, scoprii di lì a poco: però quella era SF, ne ero del tutto convinto e lo sono ancora.
Era nel suo elemento Aldani su Robot e su Galassia, che insieme alle collane da libreria stavano finalmente (ed era ora!) presentando in veste amorevole e curata una fantascienza mai vista, davvero attuale: la raffinatezza e l’impegno lo rendevano affine – attraversando generazioni e confini – a quella “nuova” SF che gradualmente, da studente, andavo scoprendo sulle bancarelle dell’usato. Soprattutto, con quel racconto avevo scoperto che nel genere c’era qualcosa in grado di parlare in maniera diretta a un teenager di origine operaia, imbevuto di cultura rock e della rabbia politica-esistenziale della propria generazione, e che, come ogni altro teenager, non provava la minima nostalgia per il passato. Non c’era niente di “cyber” in Aldani, ma in quel racconto avevo trovato qualcosa di molto vicino allo spirito di rifiuto del punk.
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