Lara raccolse una seconda pasticca nel palmo e se la cacciò in bocca rovesciando la testa all’indietro.Marcelo, da poppa, le allungò la borraccia senza proferire parola.
Lara guardò i nuvoloni scuri. “Paura?”.
Il ragazzo alzò le spalle, sulla difensiva. “Tu?”.
“Un po’. È sempre successo a tutti. È normale”.
Il suo fratellino - quattro anni più giovane - ritrasse la mano e trangugiò un sorso.
“Quante ne hai prese di pasticche?”.
Marcelo distolse gli occhi dall’acqua. “Tre”.
“Fa’ vedere le mani… Tienile ferme. La lingua adesso”.
Il ragazzo spalancò la bocca.
“Gli occhi”.
Marcelo sollevò sulla fronte i suoi occhialini da argonauta.
Un gabbiano svolazzò per un po’ sopra di loro e andò a posarsi a prua, cercando l’equilibrio su una zampetta sola. Aveva entrambi gli occhi velati dalla cataratta, perlacei a vuoti, l’addome e parte del petto vaiolati di scaglie luccicanti.
Era inquieto e nervoso, forse sentiva nell’aria odore di tempesta.
Un istante dopo cadde a corpo morto sul fondo della barca e si dimenò furiosamente nel tentativo di dispiegare le ali.
Lara scattò indietro, un remo si sfilò dallo scalmo e scivolò in acqua.
Il gabbiano continuava a dibattersi sul fondo, lanciando stridii disperati. Ma non riusciva a districarsi dalla pozza angusta. Sembrava essersi improvvisamente appesantito al punto da non riuscire più a darsi lo slancio per spiccare il volo. E l’unica zampetta non gli permetteva di reggersi in piedi.
La barca oscillò, sbatacchiandolo da una parte all’altra.
“Toglimi di lì quella bestiaccia!”.
Marcelo si tirò in piedi reggendosi a stento sulle gambe, sfilò dallo scalmo il remo superstite e lo puntò verso prua.
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