"I film di fantascienza non parlano di scienza. Parlano del disastro, uno dei più antichi temi dell’arte." Si apre con questa citazione di Susan Sontag la presentazione che Stuart Willis, regista australiano, ha scritto sul suo Payload, corto sci-fi "con un'anima".
È la storia di un ragazzo che si sporca le mani pur di salvare suo fratello: "Sono sempre rimasto affascinato da come persone buone possano diventare cattive, se trascinate dalle circostanze e dall'ambiente che le circonda. La fantascienza è profondamente legata al mondo che presenta e, nelle sue massime espressioni, questi mondi sono una parte costituente del significato alla base del film, e diventano personaggi in sé."
Niente male. Willis sembra avere le idee chiare e, partendo da tali premesse teoriche, sviluppa la storia di una famiglia che vive ai bordi della società, nelle vicinanze di una base di lancio per lo spazio (e di commercio illegale), "isolata e segnata dalle intemperie". Un padre sconfitto dalla vita, due figli di cui uno quasi un uomo, l’altro quasi un adolescente. La famiglia si sta sgretolando, schiacciata da una società dura e indifferente. Sarà Simon, il figlio più grande, a farsi carico di salvarla.
Ecco dunque Payload, ideato e girato da un esperto di effetti visivi. Willis ha lavorato su titoli come Superman Returns e Harry Potter e l’ordine della Fenice. Ma non aspettatevi un corto imbattito di fuochi d'artificio, anzi. Come si può intuire dalla trama, al centro di tutto stanno i personaggi. Per una volta una produzione che punta più sul racconto che sull'effetto, il che gli fa onore. E la cosa pare che porti i suoi risultati: Payload è in tour da un anno, presenziando a festival in giro per il mondo e guadagnandosi vari riconoscimenti. A inizio ottobre è stato infine pubblicato online, subito segnalato dallo staff di Vimeo. Attualmente Willis sta lavorando per trasformare il corto in lungometraggio, sperando che qualcuno lanci un segnale.
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