Quando si parla di fantascienza tecnologica, ovvero centrata soprattutto (ma non solo) sull'estrapolazione scientifica, i "grandi", ovvero quegli autori che questo filone lo hanno costruito e reso popolare tra il grande pubblico, si possono veramente contare sulle dita delle mani. Tra di loro, posti d'onore vanno a Gregory Benford e al californiano Larry Niven. Il primo ha costruito la sua fama a cominciare dagli anni Settanta, con la saga del Centro Galattico e con romanzi come Timescape e Fondazione: la paura; il secondo con i cicli dello Spazio conosciuto e dei Burattinai, uno dei migliori degli ultimi decenni, e con una valanga di romanzi trasversali. Entrambi hanno collaborato varie volte con i migliori romanzieri della generazione degli anni Ottanta, da David Brin a Jerry Pournelle, da Paul Anderson a Greg Bear, fino al mostro sacro Arthur C. Clarke. Ma non avevano mai collaborato fra loro, almeno finora.
Lacuna colmata con il romanzo da poco uscito negli USA, primo di una mini serie e che si intitola Bowl of heaven. Si tratta ancora un'avventura tecnologica negli spazi profondi, una cavalcata ai limiti dell'esperienza scientifica che non rinuncia, come è abitudine dei due autori, a qualche riflessione più profonda. Una spedizione umana diretta in un altro sistema solare s'imbatte in un enorme manufatto a forma di scodella, al cui interno è contenuta nientemeno che una stella, la quale fornisce l'energia per la propulsione. Il manufatto viaggia a grande velocità verso lo stesso sistema a cui è diretta l'astronave; gli astronauti decidono così di inviare un gruppo in esplorazione sulla superficie del manufatto. Ma l'esplorazione non va a buon fine: parte della squadra da sbarco rimane intrappolata in gigantesche strutture aliene disseminate sulla superficie della scodella, mentre gli altri intraprendono un viaggio nelle profondità del manufatto alla scoperta delle sue origini. E ciò che scopriranno cambierà il modo in cui l'umanità vedrà se stessa nell'universo.
In un'intervista rilasciata al mensile Locus, Benford racconta la nascita del romanzo: "Pensavo di scrivere una storia con il mio amico Larry fin dalla prima volta che ci siamo conosciuti, nel 1965. E poiché sono sempre stato affascinato da ciò che Peter Nicholls (l'ideatore della Enciclopedia of Science Fiction) chiama Big Dumb Objects, ho iniziato a pensare a un oggetto di grandezza superiore, una scodella al cui interno una stella fornisce calore e campi elettromagnetici... La scodella sta andando da qualche parte, ed è parecchio vecchia. Questo è il primo di due volumi, e l'insieme costituisce una storia davvero unica, sull'incontro tra la scodella e una nave umana. Mi sono divertito parecchio a fare ipotesi e calcoli, perché l'oggetto non è una nave e nemmeno una stella. E' una stella-nave. Larry mi ha aiutato contribuendo con un sacco di idee e proposte."
A proposito delle civiltà aliene descritte nel libro, Benford aggiunge: "Ho voluto descrivere una specie aliena in grado di guardare il proprio inconscio, per ragioni che saranno spiegate nel secondo volume. E' strano come noi non produciamo idee: si presentano a noi da sole. Perché questo processo involontario? Come mai non è possibile aprire l'inconscio e vedere come funzionano le cose? Cerchiamo di vedere le cose dal punto di vista evolutivo: come ci si evolve? Penso che il cervello debba essere lasciato a lavorare da solo. Una cosa che gli scrittori capiscono benissimo." E poiché il mestiere di scrivere Benford e Niven lo conoscono profondamente, non è escluso che questo mini ciclo possa diventare qualcosa di importante.
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