Presagio
Tornai a casa nella più totale inquietudine assillato dalle parole di Teo Davolio.
I dubbi si moltiplicavano. Feci il percorso dal Centro ricerche come sempre con la mia Ds Pallas modello “Vintage”, blu zeffiro. Esteticamente ricalcava l’aggressiva linearità di quella che era stata l’ammiraglia della Citroen nella seconda metà del XX secolo. Realizzata in sottile lega metallica, era alimentata da microfrazioni condensate di liquame digestato. Era, comunque, un prototipo ancora da collaudare e rimaneva il problema degli sgradevoli miasmi delle emissioni.
L’abitato di Metèoron come al solito appariva spettrale. Edifici degradati, tralicci come vecchie armature in disuso, negozi abbandonati, cartelli divelti, auto deteriorate ferme per le strade semideserte. Eravamo rimasti non più di cinquecento anime. Tutti gli altri erano stati evacuati nei Dipartimenti territoriali di Fascia A o B dello Stato.
Coloro che erano rimasti lavoravano per il Governo nella ricerca: come studiosi - ed era per buona sorte di studi il mio caso -, come impiegati, operai o braccianti della nuova ruralizzazione tecnologica. Ma c’erano anche quelli, e rappresentavano la maggioranza, che avevano accettato di prestare il proprio corpo, con bassa remunerazione economica, alla sperimentazione delle innovazioni biotecnologiche.
E, in queste ultime rientrava proprio il Programma BAS Ogmk III - Frumentum.
Abitavo nella Zona Est sul ciglio dell’antica Città Morta. La Zona Est una volta era molto popolosa. Non era più così. L’ultimo supermercato era stato chiuso da qualche settimana e io avevo fatto in tempo a farmi scorte di cibo, che scarseggiava. Erano alimenti conservati di IX Gamma inalterabili al calore. Il nuovo plenipotenziario governativo, il giovane e arcigno ;Otis Viola, aveva promesso che avrebbe rifornito, almeno una volta al mese, con i mezzi dell’esercito la residuale popolazione. Ma non avevamo visto nessuno. I militari rimanevano a piantonare i confini dipartimentali, poco distanti, dai quali non si poteva né uscire né entrare se non con speciali permessi.
Avevo, pertanto, rinforzato alla meglio la porta d’ingresso e le finestre di casa per evitare furti, soprattutto del cibo.
Dentro comunque tutto era ancora confortevole.
Mi sfilai la tuta termica, l’organismo non la poteva tollerare per più di 12 ore. Indossai larghi e comodi indumenti leggeri. Cenai frugalmente con poca e insapore roba gelatinosa. Come sempre da solo da quando Eva, la mia ex, tre anni fa, anche per evitare la sorte della cavia, mi aveva lasciato accettando un lavoro da interprete in una multinazionale indiana di produzione di epidermide umana.
Il caldo colloso rendeva l’aria asfissiante e l’impianto di condizionamento superintensivo funzionava male per via dell’erogazione altalenante di energia, garantita in maniera sovrabbondante e ininterrotta solo alle Strutture governative.
Mi addormentai sul divano.
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