A dirla tutta, l’incertezza di Mikka, sommata all’indolenza esibita durante l’aggressione ai danni di Ardelan, mi avevano deluso. Non appena ne ebbi l’occasione, decisi perciò di rivelare l’accaduto alla sola persona che pensavo avrebbe saputo aiutarmi a risolvere i miei dubbi. Si trattava di un uomo la cui saggezza era inferiore solo alla sua lealtà, della quale avrei avuto ulteriori e ripetute prove nei decenni successivi.E così, in un caldo mattino di un giorno destinato al riposo della comunità, il mio precettore, Laureel Khannadi Hamilton, volle accompagnarmi personalmente a scoprire la verità.

Laureel aveva grandi occhi azzurri, e il suo sguardo riusciva a placare ogni timore e a sciogliere i dubbi più impervi.

- È ora che tu conosca i fatti, figlio mio. Solo così potrai imprimere una direzione certa alla tua esistenza. -  mi disse soltanto, prima di prendermi per mano.

Laureel ed io percorremmo per intero la via centrale del villaggio e, dopo numerose svolte e viottoli secondari, ci ritrovammo presto fra le case più umili dei popolani che prestavano servizio in casa d’altri o lavoravano come braccianti nei campi. Ero passato già qualche volta da quelle parti, e avevo attribuito la fatiscenza della zona alle ovvie e fisiologiche differenze di censo e reddito esistenti fra individui che hanno avuto diversa sorte nella vita. Era una zona trasandata e piuttosto maleodorante. Su Ramsar non c’erano robot pulitori, e la tecnologia era razionata.

Sapevo che Ardelan e sua madre abitavano laggiù, anche perché ricordavo di averla vista, qualche volta, entrare e uscire dalle residenze più centrali, dove vendeva la propria opera di servitrice domestica. E fu proprio alla residenza di Ardelan che in breve giungemmo.

Fu lui ad aprire, e quando mi vide, sussultò. Mi inchinai come si usava fare fra le persone di rango, mostrandogli un rispetto che non gli era dovuto, e si tranquillizzò. Si rese così conto che il timore gli aveva fatto perdere di vista l’onorevole presenza del nostro precettore e si affrettò a farci entrare. Ebbi la sensazione che fosse solo in casa.  

Ci fece accomodare su una scomoda panca che troneggiava al centro di un’ampia e disadorna sala inondata dalla intensa luce arancio di Oslo, il secondo sole, che in quell’istante sorgeva da sud.

- Siamo venuti a trovare tua madre, figliolo. -  sentenziò il precettore.

 - Voi... sapete? -  replicò in un sussurro il mio compagno di studi.