Quella notte lo fu per Ardelan, un ragazzo più o meno della mia età, del quale non sapevo molto, a parte che era un tipo timido e riservato, che sembrava passare più tempo con le cose che con le persone.Mi trovavo sul balcone con il nonno; contemplavamo come ogni sera il cielo stellato. La luce delle lune brillava sulle casupole bianche. Dal viottolo in pietra sotto di noi un confuso vociare di ragazzi ruppe il silenzio. Mi parvero più grandi di me, ed erano eccitati come un branco di cani selvatici. Mi sporsi oltre il muro. Correvano all’impazzata. Ardelan, il solo che riuscii a riconoscere, era qualche metro davanti agli altri, quattro o cinque in tutto. Uno dopo l’altro, li vidi voltare l’angolo e prendere la direzione della collina.
Fui preso da una curiosità viscerale, e nonno Vini mi fece un cenno con il capo. La sua fiducia in me, già allora, non conosceva confini.
- Và pure, nipote mio, Va’.
Corsi giù per le scale. Giunto all’esterno, raggiunsi il fondo del viottolo e imboccai la scalinata che portava in cima al colle, perché pensavo che era lì che sarebbero infine arrivati, anche se la torma di ragazzini urlanti aveva preso la strada più lunga, quella che passava per i campi, e non ne avevo compreso il motivo. Mentre salivo i gradini a passo svelto, non ebbi difficoltà a vederli, alla mia sinistra. Da quella distanza erano poco più che macchioline bianche su una distesa d’erba alta e grigia. Il sibilare della brezza del colle si mescolava alle loro voci urlanti, e il risultato era una inquietante nenia che sembrava avvisare di un pericolo che incombeva. Ardelan seguiva un percorso ondivago, e gli altri appresso, urlando come forsennati. Non sapevo chi fossero. Non riconoscevo le loro voci.
Solo allora mi fu chiaro che Ardelan stava fuggendo, gli altri lo inseguivano, e quello non era affatto un gioco. Ardelan era in pericolo. Io ero il più piccolo, anche fisicamente, e non avrei potuto fare granché per aiutarlo, eppure non indietreggiai. Al contrario, accelerai il passo.
Quando la ebbi raggiunta, la radura alla sommità della scalinata mi apparve deserta. Mi affacciai verso la valle e li vidi, a un centinaio di metri da me. Ardelan immobilizzato contro un albero spoglio e isolato, gli aggressori nei pressi. Forse qualcuno si accorse della mia presenza. Uno di loro mosse qualche passo nella direzione della vittima. Mi gettai giù per il balzo scosceso che mi separava dalla scena e in breve li raggiunsi.
Arkad Iskenderian, il figlio quindicenne del capo villaggio, puntava il dito minaccioso nella direzione di Ardelan e inveiva al suo indirizzo. Le sue parole suonavano confuse e piene d’ira. Continuava a ripetere che il sangue andava preservato, e che quelli come lui non potevano permettersi di sporcarlo. Che ne andava del destino di tutto il villaggio, e non soltanto.
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