Sono sconvolto dall'intensità del mio sogno, da quanto veritiero m'è parso. Ero convinto di toccare con mano il corpo nudo di Hellen. Di percepire emozioni sonore mai udite prima.Solo mezzora più tardi riesco a rilassarmi, a comprendere che il comportamento di Hellen era troppo irreale per apparire vero. Per quanto mi possa amare non arriverebbe mai a tanto. Contattare la feccia della società, tanto lontana dalla sua cultura, è qualcosa che mai potrà baluginare, neppure confusamente, nella sua mente analitica.Riesco a ricordare ogni minimo dettaglio di quanto accaduto nel sogno. E' raro che riesca a rammentare anche una breve parte dei miei pensieri notturni. Eppure in questa occasione non è per nulla difficile focalizzare le risposte che ho dato ad Hellen, parola per parola. I miei errori e la mia testardaggine. La disamina del mio comportamento porta a un unico pensiero: da un possibile amplesso vissuto nell'ovattata felicità di coppia, ho preferito tuffarmi in un incubo che mi ha spinto verso una morte egoista e inutile. E' strano come la sensazione fisica di cadere nel baratro sia un allarme che ti fa scattare in piedi con tutti i tuoi sensi.

L'immagine vivida della morte, ancora impressa nella mente, è più consistente di mille discorsi dello psichiatra del carcere. Le sue parole, che mi hanno accompagnato inutilmente in questi giorni cercando di togliermi di dosso la mia fame di musica illegale, cominciano a prendere forma.    

Sento qualcuno che si avvicina. Sono i passi marcati di un carceriere che punta dritto verso di me. Ha i capelli cortissimi e una barba ispida che nasconde un volto rude. Uno dei due occhi è di vetro. Attraverso le sbarre mi mostra qualcosa che nasconde dentro la giacca. - Ehi amico - sussurra mettendo in evidenza il suo labbro leporino. - Ho letto la tua fedina. Credo che potremmo intenderci.

- Che diavolo vuoi? - domando imbarazzato.

- Sai cosa ho qui sotto?

- Le chiavi per liberarmi?

- Hai buon spirito - ride tra i denti. - Purtroppo però dovrai marcire ancora quindici giorni in questo cesso di cella. -

Adesso è ancora più vicino.  Sento il suo fiato puzzolente addosso. - Vedi questa interfaccia?

- Cristo! - sobbalzo.

- Passami il braccio, da questa parte.

Istintivamente muovo il mio arto meccanico attraverso le sbarre e mi interfaccio con il carceriere. - Questo è fottutamente illegale - farfuglio, mentre alcune note già mi pervadono il corpo.

- Già - afferma senza timori.  - Questo è il mio secondo lavoro. Sai, devo pure guadagnarmi da vivere. Con questo schifo di mestiere non arriverò mai alla pensione.