Lo abbiamo sentito dire spesso e continuiamo a sentirlo dire: la fantascienza non si legge, la gente preferisce il fantasy, l'horror, il poliziesco e altri generi perché la fantascienza, tutto sommato, tratta di cose assurde, non veritiere, e allora assurdo per assurdo, tanto vale una bella storia di vampiri o di orchi, almeno sai già dove vanno a parare fin dalla prima pagina. Senza voler nulla togliere ai generi menzionati, resta il fatto che le semplificazioni sono molto più deleterie della cattiva narrativa (che comunque la sua parte la fa per screditare un genere). Da ciò non sono esenti nemmeno grandi critici o grandi scrittori, che a volte banalizzano, forse fuorviati anche da letture sbagliate.

Può essere questo il caso di Raymond Chandler, uno dei più famosi giallisti di sempre? Ancora una volta è il sito Letters of note, che pubblica corrispondenza privata di grandi personaggi svelandone difetti, virtù, e altre piccole vicende quotidiane, a fornire uno spunto. In questo caso il sito pubblica una lettera che Chandler scrisse al suo agente, H.N. Swanson, il 14 marzo del 1953. Lo scrittore era già famoso a livello mondiale con titoli come Il grande sonno e Il lungo addio, e in quelle settimane stava lavorando a Ancora una notte (Playback), il suo settimo romanzo. Le cose però andavano a rilento, e Chandler si sfoga con il suo agente con una lettera, che qui riportiamo:

Playback mi sta stancando. Ho messo giù trentaseimila parole di scarabocchi e non ho ancora un cadavere. E questo è terribile. Soffro di una malattia molto rara chiamata (da me) atrofia delle capacità inventive. Riesco a scrivere a lungo ma mi annoio. E quindi non potrei non annoiare anche gli altri. Non posso non pensare a quel bel commento di Sid Perelman: "Spiacente ma fa piangere".

Hai mai letto questa roba che chiamano Science Fiction? È un urlo. È scritta più o meno così: "Atterrato su K19 di Aldebaran III, e uscito dal portello di crummalite della mia Sirious Hardtop modello 22. Ho armato la timejector secondaria e attraversato il blu profondo e luminoso. Il mio respiro si congelava in salatini rosa. Ho acceso le barre di calore mentre i Brylls correvano rapidi sulle loro cinque gambe, usandone altre due per mandare vibrazioni crylon. La pressione era quasi insopportabile, ma ho regolato il range sul mio computer da polso mediante i csycites trasparenti. Ho premuto il grilletto. Il bagliore violetto si è stagliato sottile e freddissimo contro le montagne color ruggine. I Brylls si sono ridotti fino a circa mezzo pollice e ci ho lavorato sopra alla svelta con il poltex. La luce improvvisa mi ha fatto girare di colpo e la Quarta Luna stava già sorgendo. Avevo appena quattro secondi per scaldare il disintegratore e Google mi aveva detto che non era abbastanza. E aveva ragione".

E pagano bene per questa merda?

Ora, al di là del fatto che il raccontino è chiaramente una parodia, una presa in giro scherzosa del genere, la prima domanda che ci si può fare è: ma che cosa aveva mai letto Chandler di fantascienza, per farsene un'idea simile? Perché è vero che negli anni Quaranta e Cinquanta dominava ancora il pulp da edicola, romanzi popolari pieni di stereotipi e che non badavano tanto al sottile in fatto di trama. Romanzi d'avventura senza pretese, paragonabili per questo ai tanti romanzetti d'azione, d'avventura, rosa, eccetera, che da sempre fanno da sottostrato alla diffusione di un genere narrativo, come anche quello in cui Chandler eccelleva.

È anche vero però che esistevano già moltissimi romanzi di valore, che tagliavano gli stereotipi per affrontare temi e idee in modo già maturo e convincente. Come la raccolta Io, Robot di Isaac Asimov, o il ciclo di Isher di A.E. Van Vogt, o L'uomo disintegrato di Alfred Bester. Forse se Chandler fosse stato consigliato sulle letture, avrebbe cambiato idea. E magari, chissà, si sarebbe messo a scrivere fantascienza pure lui.

La seconda domanda che ci si può fare è: Chandler aveva previsto Google? Ma quando si è grandi autori, tutto è possibile.