Ma non mancano esempi più complessi, come nel racconto Cose visibili, incluso nell’antologia L’imperatore di Gondwana, narrato dal punto di vista di Cotton Mather, celebre puritano dell’America a cavallo tra XVII e XVIII secolo (il cui alter-ego letterario, l’howardiano Solomon Kane, è protagonista della vicenda): “Questa è una storia che avrei potuto raccontare benissimo usando l’inglese moderno, ma poiché a me piacciono le cose difficili, ho cercato di rendere la cosa ancora più difficile: ho cominciato a leggere i diari e le memorie di Cotton Mather e mi sono messo a pensare nell’inglese del Seicento. Così, essendo Cotton Mather il narratore della vicenda, ho scritto il racconto usando quello che credo essere l’inglese corrente di quel periodo. E adesso leggendo quello che ho scritto mi rendo conto che non è molto facile da leggere”, ammette. Non c’è da meravigliarsi se Armando Corridore abbia commentato che, per rendere in italiano le opere di Di Filippo, i traduttori chiedono tre volte il compenso ordinario (in quel caso la resa fu garantita da un ottimo lavoro di Vittorio Curtoni).In effetti l’Elara, insieme alla Delos Books, sta puntando molto su Di Filippo, che tra l’altro ha regalato al pubblico dell’Italcon un racconto scritto appositamente per l’occasione, A Palazzo in the Stars, ambientato in un’Italia rinascimentale dal sapore, ovviamente, steampunk. Ma proprio perché la produzione di Paul Di Filippo è estremamente variegata, come dimostrano i suoi racconti (alcuni pubblicati anche su Robot) e l’apprezzato Un anno nella città lineare, negli ultimi anni l’opera dell’autore si è spostata un po’ più verso il postumanesimo, il più recente e fortunato dei filoni della fantascienza. Su questo tema, Di Filippo ha pubblicato un’antologia personale, Babylon Sisters, prossimamente edita da Elara, che raccoglie 14 racconti sul tema del futuro dell’umanità. “Il concetto non è proprio nuovo, ha almeno sessant’anni se si considera dalla data della scoperta del DNA, ma dal punto di vista filosofico ha delle conseguenze molto innovative”, spiega Di Filippo all’Italcon. “Ci sono comunque degli esempi passati di questo genere di concetto: quello migliore è rappresentato dall’opera di Olaf Stapledon. Se si leggono i suoi romanzi Infinito (Last and First Men, 1930) e Il costruttore di stelle (Starmaker, 1937), vediamo delle idee a proposito dell’evoluzione umana che sono davvero grandiose e a cui non siamo ancora riusciti ad abituarci. Ho letto Stepledon quando ero un teenager, per cui è rimasto in me il bisogno di capire quali saranno i passi successivi dell’umanità dopo aver superato questa fase dell’evoluzione”.Curiosamente, nota Di Filippo, dopo Stapledon l’idea di un’evoluzione dell’umanità dal punto di vista biologico verso una post-umanità si è per lungo tempo eclissata. In Star Trek, per esempio, nonostante l’ambientazione sia duecento anni nel futuro, ci sono tante specie aliene esotiche ma gli esseri umani sono sostanzialmente identici a quelli di oggi, salvo qualche particolare incrocio “interrazziale”. Un’immagine del futuro che sembrava assolutamente ragionevole quando la serie fu progettata ma, secondo l’autore, “oggi sembra molto improbabile che le cose restino così: si parla di manipolazione del genoma, di potenziamento dei geni…”. Cita Charles Stross e Rudy Rucker come i migliori autori del genere, ma segnala anche l’opera di un autore considerato di space-opera, Kim Stanley Robinson, 2312, ambientata trecento anni nel futuro. “Potreste definirla una space-opera, eccetto per il fatto che è ambientata interamente nel nostro sistema solare, non esistono viaggi superluminali, ma l’umanità è riuscita a espandersi fino a occupare tutte le nicchie del sistema solare e molte volte per poterlo fare ha dovuto adattarsi fisicamente. Questa visione del futuro inizia a sembrare più probabile e realistica di quella di Star Trek, perlomeno se credete nell’approccio del postumano alla scienza e alla fantascienza”, spiega Di Filippo.
Un esempio singolare dell’idea di postumanesimo nell’opera di Di Filippo è del resto già noto ai lettori italiani che hanno letto Filogenesi (Nova Sf* 81), in cui i protagonisti sono esseri umani che vivono come parassiti nel ventre di enormi esseri invasori simile a balene informi, tratte dalle allucinate visioni di H.P. Lovecraft (autore omaggiato a più riprese da Di Filippo nelle sue opere, non solo perché anch’egli, come Lovecraft, è nato a Providence). Questa nuova versione della specie umana non ha a disposizione oggetti e strumenti e quindi è tagliata fuori da qualsiasi possibilità di evoluzione ‘come noi la conosciamo’: “Ho pensato che gli aspetti fondamentali della loro cultura potevano essere la musica e la matematica, perché si tratta di due ambiti della cultura umana che non richiedono un supporto tecnologico”, racconta l’autore.
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