Mentre scriviamo questa introduzione, il sito di Locus – la rivista da seguire per chi vuole tenersi informato sulla fantascienza e fantasy anglofona, sia in termini di mercato sia di qualità – dedica il numero di marzo 2012 a Paul Di Filippo, con foto di copertina e un’intervista. Il titolo è Il camaleonte. Nell’intervista, Di Filippo definisce il pastiche come la sua vena estetica più personale, l’omaggio agli autori che nel passato lo hanno ispirato con idee o personaggi simili a quelle delle sue storie (“la mia voce si compone di tutto ciò che ho letto e amato”). La rete, contrariamente alle tesi di tanti “apocalittici”, non sta distruggendo la sua ispirazione creativa ma, grazie all’immediatezza del processo di pubblicazione, la sta spronando ulteriormente in direzione della forma breve. D’altra parte, dice Di Filippo, esistono storie che esigono le dimensioni del romanzo. Oltre ai due Linear City Romances, un altro caso recente è Roadside Bodhisattva (2010), romanzo realistico sulle avventure on the road di un ragazzo fuggito di casa: incursione nella narrativa mimetica, ennesima sfaccettatura di un autore poliedrico. Alla fantascienza tornano i due progetti in corso: Up Around the Bend, romanzo che riprende nel titolo un’antica canzone dei Creedence Clearwater Revival, che dovrebbe partire da un evento apocalittico avvenuto nel 1972, per poi inserire viaggi nel tempo, alieni ed elementi utopici. “Spero che alla fine troverò una logica che tenga tutto insieme”, conclude. Anche questa sembra una delle sue caratteristiche: iniziare trame, creare scenari, e lasciarsi trasportare dalla loro esplorazione. È senz’altro il caso delle storie della Città Lineare (difficile credere che Di Filippo si fermerà a due romanzi). Un altro progetto è saggistico: un volume sui “101 migliori romanzi di fantascienza dal 1985 al 2010”, in collaborazione con il critico e autore australiano Damien Broderick. Della SF contemporanea, in recensioni per riviste e quotidiani, Di Filippo è uno degli osservatori più attenti: è un libro che attendiamo con ansia.
Di Locus, Di Filippo è collaboratore regolare. Ennesima dimostrazione del suo amore per i giochi letterari è stato, poche settimane fa, un esilarante pesce d’aprile sulle polemiche relative al Premio Nebula del 2018, con un’irresistibile parodia dello stile barocco del critico britannico John Clute – un futuro in cui intorno ai premi di fantascienza e fantasy si scatenano tangenti e ricatti, e in cui l’evento da tutti atteso è il sesto film della serie The Hunger Games, un “mashup reboot” che prevede l’arrivo dei Borg di Star Trek. Come ogni gioco, quello di Di Filippo è una cosa seria, e il suo scenario è un’amara distopia.
Che ami fare sul serio nella difesa della (molta) fantascienza raffinata degli ultimi decenni, Di Filippo ce lo dimostra proprio nei giorni in cui si chiude questo libro, con una recensione di Through the Valley of the Nest of Spiders, l’ultimo romanzo di Samuel R. Delany, che segna il suo ritorno alla SF dopo quasi un trentennio. Opera fiume sulla vita di una coppia di amanti all’interno di un’immaginaria comunità gay, nel romanzo di Delany al centro è la storia d’amore e (cosa che presumibilmente respingerà il grande pubblico) sesso tra due persone, che inizia nel nostro presente e si dipana in un futuro descritto per allusione, sempre sullo sfondo. I due protagonisti, dice Di Filippo, sembrano incarnare l’ideale dell’antico saggio di Ursula Le Guin su La fantascienza e la signora Brown: come in Virginia Woolf, “niente guerre, niente colpi di scena, niente avventura, niente superuomini”. Solo scrittura raffinata, e fantascienza1.
Presentando A Year in the Linear City in questa collana, qualche anno fa abbiamo ripercorso la sua multiforme carriera di scrittore2. Siamo senz’altro convinti che Di Filippo sia una delle figure più sottovalutate della SF e di tutta la narrativa statunitense contemporanea: troppo legato ai generi fantastici per venire accettato dall’establishment, troppo legato alle forme brevi per aspirare alle grandi vendite. Per la consacrazione, in questi anni, è necessario un grande romanzo. Nel frattempo, Di Filippo resta una figura di prestigio, uno scrittore apprezzato da coloro che rifiutano le gerarchie tra i generi, che conoscono – come è giusto – sia la letteratura “alta” sia quella “bassa”, e i piaceri di entrambe.
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