– L’ho saputo solo all’ultimo momento – provò a giustificarsi Trevor.– Ero in ansia – insisté Beth. – Poteva esserti successa qualsiasi cosa in questi giorni.

– E invece non mi è successo niente – tagliò corto il ribelle. – Senti, dovrò allontanarmi di nuovo. Oggi arriverà una spedizione da Plutone per portare all’esercito occupante rifornimenti e, secondo i nostri tracciati, scenderà lungo la Vallata di Igaluk. Lì il plotone nemico avrà il fianco scoperto e potremmo procurargli molte perdite senza grossi rischi.

Lei lo fissò con aria contrariata. Negli occhi la collera stava gradualmente cedendo il posto alla rassegnazione.

Su Titano andava così: non era un bel periodo per vivere, quello.

– E quando? – si limitò a chiedere. Nella voce si percepiva il ritorno di quell’ansia che per un attimo le aveva dato tregua, quando aveva visto sulla porta il suo uomo.

– Stanotte – rispose lui. – È già tutto pronto, colpiremo in una zona dove non avranno vie di fuga.

Beth annuì.

– Sta’ attento – gli raccomandò. Quante volte si era sentita ripetergli quella preghiera!

Trevor le appoggiò la mano sulla guancia.

– Non preoccuparti – disse con un sorriso sicuro. – Plutone è forte, ma non abbastanza per sconfiggermi.

Un fiume di luce tornò a violentare l’unico occhio rimasto sulla faccia di Trevor, spazzando via il sogno di Beth che gli si avvinghiava al collo e lo baciava di nuovo.

Le catene, la puzza, il freddo, il dolore ovunque, il sangue che gli marciva lungo il corpo nudo e morente.

– Ben svegliato – gli disse quell’odiosa voce.

Trevor annaspò, alla disperata ricerca d’aria.

– Hai qualcosa da dirci?

Il prigioniero fu assalito da un fremito di terrore incontrollabile, un fremito che sovrastava il tremore per il freddo di quella cella gelida. A quale altra tortura lo avrebbero sottoposto, ora?

– N… N… No – farfugliò, con la bocca impastata dal sangue.

Un sordo colpo di fucile gli divelse il cranio.