– Perché non erano soli – continuò l’altro, ignorando l’intervento del maggiore. – Nella comunione delle sofferenze gli uomini trovano conforto e una ragione per continuare a resistere. Sapere di condividere le agonie con la loro comunità dà un senso alle piaghe che gli vengono scavate nella carne e alle lacrime che versano.Fece una pausa, continuando a fissare il suo interlocutore, quasi avesse voluto sondarlo.– A Titano questo non deve accadere. I nostri prigionieri devono credere che non esiste più nessun motivo per tacere a prezzo di tanta sofferenza – aggiunse. Poi, con tono graffiante: – Continueremo a seguire il protocollo, come da direttive.

– Sissignore.

– È tutto – concluse Eyezerkan, risoluto. – Può andare.

Cordellier fece il saluto, poi andò verso la porta e l’aprì.

– Ah, signore – disse prima di uscire, voltandosi verso il generale, – cosa ne faccio dei tre che hanno superato i cinquanta giorni di prigionia?

Questa volta era stato il maggiore a porre una domanda retorica: il protocollo era molto chiaro in proposito.

– Li elimini – ordinò Eyezerkan, tentando di nascondere il fastidio.

Di nuovo quella bozza di sorriso sardonico al lato della bocca di Cordellier.

– Sarà fatto, signore.

Il maggiore chiuse la porta alle proprie spalle, lasciando il generale da solo nel suo ufficio.

Pasha Cordellier era un uomo pericolosamente scaltro, ambiguo, dalla disciplina discutibile e sulla cui incondizionata obbedienza sarebbe stato rischioso fare affidamento.

Ed era giovane e ambizioso: solo gli dei potevano sapere quanto in alto si sarebbe potuta spingere la sua carriera militare.

Algis Eyezerkan sperò che il destino di Plutone non dipendesse mai da quell’uomo.

Probabilmente, a tempo debito, sarebbe toccato a lui impedire che ciò si verificasse.

Gettò il fucile a terra, le prese il volto tra le mani e la baciò.

Un bacio selvaggio, appassionato, rabbioso, che Beth ricambiò con la stessa foga.

– Non provare mai più a sparire così senza dirmi niente, stronzo – disse lei.