– Allora, pezzo di merda – disse un uomo dalla voce ingannevolmente morbida. Una voce che Trevor odiava più di qualsiasi altra cosa. – Ti sei deciso a parlare?Trevor voltò la testa per proteggere gli occhi dalla luminosità violenta della torcia. Parlare? Aveva già detto tutto quello che sapeva: non aveva più nulla da confessare, ormai.
– Ho capito – fece l’altro, con tono falsamente dispiaciuto. Poi, rivolgendosi a uno dei suoi scagnozzi, ordinò: – Procedi.
Il boia si avvicinò ancora alla sua vittima; lo afferrò per una mascella e gli fece scorrere qualcosa sul viso, come avesse voluto anticipargli cosa lo aspettava. Era un oggetto freddo, metallico, dalla forma apparentemente cilindrica. Sembrava un ago, ma la sezione era troppo grossa e l’estremità era esageratamente incurvata…
Il boia infilzò l’orbita oculare di Trevor con veemenza; spinse l’affare metallico fino a raggiungere i muscoli e il nervo ottico. Scavò, dilaniando le carni dell’altro che gemeva in preda a un dolore insopportabile. Recise bruscamente i vasi sanguigni con la concavità dell’arma e strappò l’occhio via dalla sede naturale.
Le urla di Trevor riecheggiarono inascoltate nella cella. Il bulbo oculare era rotolato a terra. Una cascata di sangue divampava dalla voragine aperta nel cranio. Il rumore dei passi degli uomini che lasciavano la prigione si perse tra le grida straziate di Trevor.
Nessuno le avrebbe udite.
Titano era in ginocchio, irrimediabilmente sottomesso al potere degli invasori. Essere a capo dell’esercito occupante che presidiava il satellite non era quanto di più gratificante potesse capitare a un generale di Plutone, però Algis Eyezerkan sapeva bene quanto fosse importante il proprio compito.
Probabilmente gli annali della storia non avrebbero cantato la sua gloria, ma Eyezerkan aveva imparato ad accettare questa prospettiva con serenità. Non poteva sindacare su quanto gli dei avevano disposto per lui. Non tutti potevano prender parte a battaglie epiche contro i potenti imperi nemici, occorreva rimanere con la guardia alzata nei confronti delle popolazioni annesse, che aspettavano solamente la prima occasione per rovesciare il dominio degli oppressori stranieri. Spettava a Eyezerkan fare in modo che quell’occasione non arrivasse mai. I suoi doveri erano più burocratici che militari: doveva raccogliere le informazioni che i suoi uomini gli davano, impartire loro qualche comando di ordinaria amministrazione e aggiornare periodicamente i vertici del pianeta madre sulle faccende della colonia.
Che a una certa ora del giorno qualcuno dei suoi sottoposti bussasse alla porta del suo ufficio per venire a fare rapporto era solamente la prassi.
– Avanti – rispose il generale, atono.
Entrò un uomo, che immediatamente si mise sull’attenti. Eyezerkan alzò lo sguardo dalle scartoffie sulle quali stava lavorando e ordinò: – Riposo.
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