Per gli amanti della fantascienza è il film più atteso dell'anno. Più del remake de Il pianeta delle scimmie, del Signore degli anelli, di Harry Potter, di Final Fantasy e perfino più desiderabile dell'Angelina Jolie - Lara Croft di Tomb Raider A.I. rappresenta il capitolo finale dell'opera di Stanley Kubrick, lasciato in eredità al pupillo Steven Spielberg che ha trasformato il racconto di Brian Aldiss Supertoys last all summer long in un film doloroso e sgradevole, duro e inquietante in cui uno dei temi più cari alla fantascienza (la macchina che volle farsi uomo) diventa un'allegoria dell'intolleranza e del razzismo. Una miscela esplosiva di buoni sentimenti e di cattivi pensieri che Spielberg celebra in una storia solenne e drammatica che vede protagonista un robot - bambino, il primo capace di amare. Dopo che - in un futuro non meglio precisato - i ghiacciai si sono sciolti, con un mondo dove gli esseri umani sono decimati dalle carestie, per avere dei figli bisogna chiedere il permesso. I robot aumentano giorno dopo giorno e per soddisfare la domanda crescente di un mercato, un burattinaio cibernetico costruisce David, una sorta di novello Pinocchio, cui è stato insegnato ad amare. Il problema è che la famiglia cui è stato affidato non è in grado di contraccambiare. Mentre il figlio della coppia è in coma, David sembra riuscire a conquistare l'affetto dei due umani, ma quando il bambino torna miracolosamente a prendere conoscenza, ecco che il devastante confronto tra il bimbo "vero" e il robot artificiale, costringe i due genitori adottivi a rimandare alla fabbrica l'androide. Soltanto che il protocollo di David non può essere modificato. Il suo amore incondizionato per la donna che ha attivato la procedura di inprinting lo condanna alla distruzione, perché - almeno per le macchine - i sentimenti sono irreversibili. Ecco che così iniziano le avventure del ragazzino alla ricerca della fata turchina. Quella che lo farà diventare - crede - un essere umano e quindi in condizione di essere amato dalla madre adottiva. Sfuggito ad una banda di uomini o presunti tali che in nome della purezza della razza distruggono pubblicamente i robot, David si avvia verso Manhattan insieme a Gigolò Joe, un robot costruito per il piacere delle donne...

Una fiaba postmoderna, venata di tutte le drammatiche istanze del nostro tempo, sgradevole ed inquietante perché mette gli esseri umani di fronte alla propria crudeltà.

Un film che pur risultando stranamente ibrido (Spielberg tenta di girare il film come se fosse Stanley Kubrick...) trasmette allo spettatore un forte senso di irrequietezza tramite i diversi piani di lettura possibili della pellicola. Se da un lato A.I. si propone come una visione del futuro, dall'altro tramite la reinvenzione del mito di Pinocchio, diventa un messaggio allegorico contro il razzismo, la violenza e l'intolleranza. Le scene della caccia ai robot riecheggiano - non a caso - le sequenze del genocidio degli ebrei portato avanti dai nazisti nel Ghetto di Varsavia, immortalate da Spielberg in Schindler's List. In più il cineasta americano, aggiunge con la sua intelligenza artistica - unica e straordinaria - innumerevoli spunti di riflessione su tante delle istanze del nuovo millennio: la maternità, la mercificazione dei sentimenti, l'inquinamento, il razzismo, la crudeltà verso i più deboli. Tutti elementi che Spielberg ha condensato in un film lungo, difficile, dai profondi interrogativi psicologici in cui la fiaba e la realtà si fondono in un'unica avvincente storia. A.I. appartiene a quella fantascienza pessimista in cui - senza alcuna fiducia verso il genere umano - il mondo sembra avviarsi alla deflagrazione sociale, economica e ecologica. Una pellicola dura, che fa rimbalzare nel ventunesimo secolo il pessimismo meditato di Stanley Kubrick che proprio nel fatidico 2001, dall'alto di una stella, vede arrivare nei cinema il suo progetto più ambizioso. Quello di raccontare la storia dei sentimenti degli esseri umani, attraverso il loro doppio cibernetico. Un film da vedere e da apprezzare, indipendentemente dal fatto che possa piacere o meno. Le tematiche presenti in A.I. nonostante una certa smielatezza tipica di alcune scelte registiche di Spielberg servono soprattutto a riflettere. E nonostante perfino il deus ex machina del finale che non si può rivelare, e che pur confacendosi alla poetica spielberghiana, mette in seria difficoltà lo spettatore nei confronti di una storia che sembra - in ogni caso - non terminare mai. A.I. è uno dei film in cui sogno, mito, tecnologia e fantascienza si mescolano in un unico indimenticabile enigma cinematografico che chiama lo spettatore - o meglio i suoi sentimenti - a dare la spiegazione degli avvenimenti che coinvolgono David.