Però, per scoprire la verità, occorrerebbe aprire una crepa nel tessuto connettivo del mondo, lacerare il continuum e guardare la cosa dall’esterno, con sguardo lucido e obiettivo. Finché ci sono dentro, resto vincolato alle regole del gioco.In questa prospettiva, non mi sorprende affatto che Jane dubiti della mia natura. Mi crede un androide, un modello forse un po’ più evoluto di Wilhelm e Squittino (i quali, dopotutto, somigliano più a dei giocattoli per bambini o a dei fenomeni da baraccone che a dei veri esperimenti di cibernetica applicata), ma comunque un simulacro.

Come posso dimostrarle di non essere un umanoide replicante?

Phil cominciava a perdere la pazienza. La sua fonte gli aveva garantito che avrebbe trovato il replicante lì dentro, in quel buco d’inferno invaso dal kipple, dai ratti e dai piccioni, zampognanti topi di fogna alati. Sferrò un calcio isterico contro la palla di un occhio verde che aveva cavato dall’orbita di una delle teste. Il bulbo di cristallo ticchettò sul pavimento, poi rotolò e andò a fermarsi su una macchia nerastra. Il generale stato di abbandono e degrado dell’appartamento aveva fatto passare quella chiazza inosservata al suo primo sopralluogo, ma ora che Phil la guardava meglio somigliava sempre più a sangue rappreso con del Kil’Z.

Il Kil’Z veniva usato generalmente dalle squadre della SFPD per sterilizzare le scene del crimine: il composto aveva il potere di cancellare gli eventuali agenti patogeni contenuti nei liquidi organici o nei tessuti. Quindi, lì dentro, s’era compiuto un omicidio, un ritiro forse, probabilmente legato all’omicidio del padrone di casa.

Chino sulla macchia di sangue indurito, Phil pensò agli innumerevoli cerchi che andavano chiudendosi in quel momento in ogni angolo del mondo.

“Il ciclo della vita si chiude stasera”, pensò cupamente. “Questo per qualcuno sarà davvero l’ultimo crepuscolo, prima del silenzio e della morte”.

Jane ha dodici anni, ma ne dimostra molti di più. Deve essere la selezione naturale della strada, di questa giungla di asfalto e cemento, che tempera fin dall’infanzia i ragazzi randagi come lei. Per sopravvivere, Jane setaccia le strade e i palazzi abbandonati, alla ricerca di pezzi di ricambio ancora buoni da vendere ai rigattieri. Questo laboratorio è un’autentica miniera, quindi deve averlo frequentato spesso. Mi sono appena accorto che non tutti i resti accumulati qui dentro sono pezzi inorganici di bambole di plastica. JF doveva essere uno scienziato, perché molte delle strumentazioni che ho visto qui dentro somigliano a delle vasche di coltura, e le cose che fluttuavano nel liquido nutritivo mi sono sembrate organi, a diversi stadi di sviluppo…

La tecnologia di questo mondo sfugge alle mie capacità di analisi e comprensione.

Comunque, Jane ha detto che è proprio uno di questi rigattieri che potrebbe darmi una mano. Farebbe parte di un’organizzazione clandestina, a quanto dice. Congrega di Mezzanotte, così l’ha chiamata. Secondo Jane, in città sono attivi molti comitati per la parificazione di diritti tra uomini e replicanti, ma la Congrega di Mezzanotte agisce a un livello sotterraneo. La loro è una lotta attiva, s’impegnano per far uscire i fuggiaschi dalla Città. Si preoccupano di trovargli una sistemazione altrove.

Posso crederle?

E se è così: ho davvero bisogno del loro aiuto? Accettarlo non sarebbe un’implicita ammissione di impotenza davanti a questa bambina così strana, così antica?

Entrando nell’appartamento di Sebastian, Dick s’imbatté nel cacciatore. Se ne stava piegato sui talloni, a esaminare una macchia annerita sulle piastrelle del pavimento polveroso.

“L’androide fugge dove lo insegue il cacciatore” pensò, con amara ironia.

Mentre si sollevava in piedi, l’uomo gli concesse un sorriso sinistro, che somigliava terribilmente al ghigno di un demone indiano. Era alto e magro, aveva lineamenti duri e lunghi capelli neri spruzzati di cenere raccolti in una coda dietro la nuca. Indossava un lungo spolverino nero che lo aiutava a confondersi con le ombre della notte. Portava una barba alla Van Dyke e occhiali con lenti verdastre cerchiate di tartaruga, abbassate sul naso.

Dick ebbe la sensazione viscerale di averlo già incontrato in passato.

Con un dito affilato Phil Resch si spinse gli occhiali a contatto con l’arcata ciliare e lo squadrò con calma per assicurarsi che fosse solo. – Bentornato – disse infine, atteggiandosi in un cerimonioso inchino. – Prego, si accomodi: faccia come se fosse a casa sua….

Dick lasciò la porta socchiusa sul pianerottolo e si mosse attonito sulle gambe scricchiolanti. Avanzò con passo claudicante verso l’intruso, cercando di non calpestare i fogli dei suoi appunti sparsi sul pavimento. Un altro mazzo di pagine era nelle mani del cacciatore.