La premessa doverosa è che quando si scrive di critica (cinematografica, letteraria e di qualsivoglia altra natura) il parere è e resta soggettivo. Ed è dal confronto di pareri discordanti che il lettore può sviluppare il proprio senso critico e la propria visione.
Il libro di Angelo Moscariello, dal titolo più che esplicativo Il Mai Nato: l'inesistenza storica del cinema in Italia, uscito per i tipi delle Edizioni il Foglio, è un ottimo spunto di riflessione.
Se mi passate il paragone il suo effetto sulla coscienza del cinefilo italiano è simile a quello della lettura di Indignatevi per chi si impegna nel sociale e nel politico.
Il libro è poco più di cento densissime pagine, suddivise in due sezioni, la prima che ripercorre la storia del cinema italiano e la seconda che raccoglie un soggettivo elenco in forma di dizionario dei registi che hanno segnato nel bene e nel male la nostra cinematografia.
Inutile nascondere che la lettura è scioccante e provocatoria, se si fa parte di quelli che immaginano il Cinema Italiano come Faro dell'Arte.
Ma il mutamento di prospettiva è prezioso perché non solo dimostra quanto i nostri film all'estero vengano apprezzati più antropologicamente che cinematograficamente (il che spiega anche come mai alcuni registi esteri si accostino ancora all'Italia in maniera scontata e quasi offensiva) ma analizza anche senza pietà quanto la cinematografia italiana sia sempre stata debitrice delle logiche del potere sin dalla sua nascita. E questi sono motivi comunque validi per comprendere come mai quando abbiamo voglia di prodotti di intrattenimento spessissimo ci rivolgiamo alle produzioni straniere.
Il cinema estero (non solo degli USA, ma anche europeo ed orientale) fa dell'industria la base dell'intrattenimento per poi permettersi guizzi di libertà creativa che da noi sono eccezionali.
Leggere che il cinema italiano da "medio" è divenuto "mediocre" spiega anche perché il nostro cinema non è capace di produrre film di genere fantastico o fantascientifico tali da essere apprezzati oltreconfine.
Insomma, è un libro da avere per poter “Aprire Gli Occhi” come recitava il titolo di un film spagnolo caro a chi frequenta il cinema fantastico.
In conclusione cinque domande all'autore.
D: E' ben tratteggiato il parallelismo tra letteratura e cinema, come sempre nel bene e nel male, quanto pensi che questo abbia influenzato la non nascita della cinematografia di genere fantastico e fantascientifico?
R: L’assenza di una tradizione fantastica nella narrativa italiana ha impedito che anche nel cinema si affermassero generi come il fantasy o la fantascienza. Noi non abbiamo avuto, non dico un Poe, ma neppure un Matheson o un Bradbury capaci di creare grandi metafore poetiche attraverso il ricorso alla narrativa di genere. Certo, ci sono state delle eccezioni come gli scapigliati Dossi e Boito a fine Ottocento oppure il notturno Landolfi negli anni Trenta e in seguito il surreale Buzzati, ma sono stati relegati in una posizione minoritaria attinente alla categoria dello “strano” o del “bizzarro”. Come il romanzo, anche il cinema italiano è rimasto prigioniero di una misura “mediana” viziata dall’obbedienza a un presunto realismo che ne ha sempre frenato lo scatenamento del linguaggio. Situazione diversa in Francia, in Spagna e in Gran Bretagna in cui generi come il mystery e l’horror sono naturalmente passati dalla narrativa al cinema con ottimi risultati. Anche i pochi maestri nostrani del fantastico, come Bava, Fulci o lo stesso Argento, sono bravi nelle visioni ma meno nelle narrazioni rigorose e concluse. Cosa, questa, che affligge la gran parte degli sceneggiatori italiani, tutti deboli nella costruzione geometrica delle storie.
D: L'interscambio tra televisione e cinema, ad esempio negli USA, sta portando a fare della TV un cinema che può permettersi storie più lunghe e costose, perché in Italia la fiction (tranne alcuni casi) è così routinaria?
R: Negli Usa le fiction sono cinema a tutti gli effetti, salvo che per le durate. Si pensi che già negli anni Cinquanta la tv americana trasmetteva telefilm come quelli della serie Hitchcock presenta, ottimi anche per il grande schermo mentre noi producevamo sceneggiati di impostazione teatrale, si pensi inoltre che in anni più recenti la tv Usa ha prodotto eccellenti serie di genere che hanno visto tra i registi persone come Joe Dante o John Carpenter per capire l’arretratezza della nostra televisione. Anche in questo caso c’è stata qualche felice eccezione, come quella costituita da Vittorio Cottafavi, un grande regista di cinema maestro nel melò e nel peplum che non ha perso il suo sguardo filmico neppure dopo essere passato a lavorare per la televisione (per la quale nel 1972 ha realizzato, tra l’altro, la prima opera a puntate di fantascienza, A come Andromeda) ma che fu ingiustamente rimosso dalla critica ufficiale “impegnata” ed è ancora in attesa di venir riscoperto.La nostra televisione (tutta) si è impegnata da decenni con sistematico accanimento a bandire la fantasia a favore dell’Educazione da un lato e dell’ Intrattenimento dall’altro ( e oggi dell’ Informazione, che è la negazione della Conoscenza), insomma tra Piero Angela e Pippo Baudo c’è il nulla, salvo diecimila telegiornali che disinformano e altrettanti talk-show inutili. Quanto alle fiction italiane, esse sono perlopiù veri inerti ibridi audio - visuali che non fanno né sognare né riflettere.
D: Sinceramente, ritieni che esistano teste genuinamente pensanti tra scrittori, sceneggiatori e registi capaci di poter dare dei prodotti cinematografici universali in Italia?
R: Purtroppo le tante scuole di regia e di scrittura che oggi proliferano non fanno che perpetuare i mali del nostro cinema, mali che sono il provincialismo dello sguardo e il naturalismo dello stile uniti ad una ricorrente assenza di forma. Dopo la miracolosa stagione dei generi avuta negli anni ’50 il nostro cinema - se si escludono i tre poeti Antonioni, Pasolini e Ferreri, tutti e tre stranieri in patria - si è abbarbicato alla sciagurata commedia all’italiana o ora ne ripropone la miseria morale nei modi sempre più degradati della nuova commedia affidata ai comici televisivi di turno (nipotini dell’abietto personaggio Sordi ma non del Totò cubo futurista degli inizi). L’inquinamento semantico operato dalla tv nei confronti del cinema ha toccato il punto più alto. Nel cinema italiano di oggi non esiste più non dico l’aura ma neppure le inquadrature. Tra le poche eccezioni recenti il Capotondi di La doppia ora e il Molaioli di La ragazza del lago,ma fino a quando potranno resistere alla routine standard richiesta? I pochissimi che tentano una via nazionale alla sci-fi la buttano troppo in filosofia spesso ermetica,mentre la grande sci-fi deve essere semplice,come quella di Ultimatum alla terra di Wise. Occore fare film semplici e profondi al tempo stesso,film dalla doppia lettura (come diceva Chabrol), ma in questo i nostri registi non ci sentono, convinti di essere tutti sublimi Autori quando invece dovrebbero sentirsi onesti Artigiani come si sentivano Keaton, Lang e Ford.
D: Esiste la possibilità che in Italia nasca davvero una industria del cinema che permetta di sperimentare?
R: Forse quando l’Italia sarà diventato un paese europeo e moderno in tutti i settori della vita sociale. Per ora occorre contentarsi, forse, del “cinema d’artista” o delle installazioni tra cinema e pittura che sono un po’ più avanti di Cinecittà. Sul grande schermo il 3D Scorsese lo usa per omaggiare Méliès nel fantastico Hugo Cabret e il nostro Fausto Brizzi per girare l’inconsistente e piatta sexy-commediola Come è bello far l’amore (peraltro copiata dal modello della nuova gross-out comedy americana).
D: Possiamo sperare in una tua prossima opera che affronti magari il tema delle serie televisive straniere e nostrane?
R: Impresa in effetti dovuta, soprattutto per i suoi risvolti sociologici, anche se da qualche anno coinvolge anche l’estetica e l’analisi del linguaggio intermediale (le serie nostrane solo la sociologia, per ora). Vedrò, anche se attualmente mi sollecita più la pratica alternativa di YouTube.
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