Il giorno dopo l’inizio dell’assedio, il dottore installò a Valentine l’apparecchio acustico e le disse di tornare dopo dieci anni per cambiare la batteria. Lei quasi non lo sentì scivolare sotto la pelle ma, quando ci fu, i buffi suoni subacquei di tutto e tutti si ritrasformarono in suoni limpidi, chiari come erano stati quelli del cinema. Ora che sentiva, poteva parlare e afferrò le mani di Popa. – Il cinema! – disse. – Oh, Popa, il cinema, quella povera gente! Cosa gli è successo?  

– Le squadre degli operai hanno aperto il rifugio dieci ore dopo – disse Popa. Non addolciva mai i fatti per lei, anche se Mata non approvava che le si parlasse come a un adulto. – Metà sono morti per mancanza d’aria… il riciclaggio dell’aria è stato danneggiato dalla bomba e il rifugio era a tenuta stagna. Gli altri sono in ospedale. 

Lei pianse. – Leeza… 

Mata le prese le mani. – Leeza sta bene – disse. – Ci ha tenuto che te lo dicessimo. 

Pianse più forte, ma stavolta sorridendo. Trover era in grembo alla madre, con l’aria di non sapere se stare tranquillo o attaccare con uno dei suoi famosi capricci. Automaticamente, Valentine gli fece il solletico, il che lo fece sorridere e gli impedì di scoppiare in lacrime. 

Lasciarono l’ospedale e andarono a casa a piedi, anche se era lontana. La metro non funzionava e le aeromobili erano ancora costrette a terra. Alcuni degli edifici che superarono erano solo macerie, e robot e persone si sforzavano di mettere ordine, riassemblarli e rimetterli in sesto. 

Fu solo il giorno dopo che scoprì che Reeta era rimasta uccisa sotto il cinema. Vomitò il porridge che aveva mangiato a colazione, si chiuse in camera sua e pianse nel cuscino fino a addormentarsi.  

Tre giorni dopo l’inizio dell’assedio, Mata se ne andò. 

– Non puoi andare! – le gridò Popa. – Sei pazza? Non puoi andare al fronte! Hai due bambini piccoli, donna! – Aveva la faccia arrossata e stringeva convulsamente i pugni. Trover aveva una crisi di pianto così violenta e atroce che Valentine voleva strapparsi l’apparecchio acustico. 

Mata aveva gli occhi rossi. – Harald, sai che devo farlo. Non è “il fronte”… è la nostra città. Il mio paese ha bisogno di me… se non combatto per liberarlo, cosa ne sarà dei nostri figli? 

– Ti mancava la gloria del combattimento, vero? – La voce di suo padre era amareggiata come non l’aveva mai sentita prima. – Sei come una drogata! 

Lei alzò la mano sinistra e gliela agitò davanti alla faccia. – Una drogata! È questo che pensi? – A memoria di Valentine, il medio e il mignolo di quella mano non si erano mai piegati nel modo giusto e quando le aveva chiesto come mai, Mata aveva detto la terribile parola, spaccanocche, il vecchio nome della polizia. – Tu pensi che io sia drogata di questo? Harald, l’onore, il coraggio e il patriottismo sono virtù, anche se tu vorresti trasformarle in vizi e coprire di vergogna i nostri figli con la tua codardia. Ora vado a combattere, Harald, ed è per tutti noi.