C’è un enorme torto alla base delle storie appartenenti al filone della narrativa fantastica denominato Steampunk: quello di essere considerato come un sottoprodotto del cyberpunk. L’equivoco nasce perché il genere è nato grazie alla penna dei padri fondatori del cyberpunk: William Gibson e Bruce Sterling. Nel 1992, infatti, i due scrissero un romanzo a quattro mani dal titolo The Difference Engine (in italiano La macchina della realtà) in cui in cui s’immaginava che nell’Ottocento, in Inghilterra, si fosse diffuso non solo l’uso dei computer, ma anche qualcosa di simile a Internet, in base al lavoro di Charles Babbage e Lady Lovelace.
L’accostamento tra cyberpunk e steampunk, al di là della radice “punk”, è possibile e naturale, ma senza mettere in secondo piano il secondo tipo di storie, che anzi hanno una intrinseca originalità pressoché unica nel panorama della letteratura fantastica e di fantascienza. Dal cyberpunk, lo steampunk ha sicuramente mutuato l’elemento tecnologico, ma virandolo in un’atmosfera vittoriana e rendendolo di fatto originale.
La domanda che è alla base di romanzo storie come La macchina della realtà è: What the past would look like if the future had happened sooner (come sarebbe stato il passato se il futuro fosse accaduto prima). Lo scenario su cui si stagliano i racconti e romanzi appartenenti a questo filone un alternativo Ottocento, in cui all’energia elettrica è stata sostituita da quella ricavata dal vapore (steam) e i computer sono costruiti con componenti meccanici. Spesso, ma non obbligatoriamente, i plot di queste storie sono permeati da elementi relativi a società segrete, teorie del complotto, occultismo e in alcuni esempi perfino a quelli di stampo fantasy.
Più in generale, il genere propone un futuro alternativo al nostro nato dalla diffusione delle tecnologie prima di quanto si siano diffuse realmente nel nostro universo. È facile imbattersi in un Ottocento alternativo e più tecnologico di quello che noi conosciamo, in cui le macchine vapore sono alla base delle tecnologie più avanzate, come rudimentali computer analogici o macchine volanti, prototipi dei nostri aerei moderni.
La consacrazione per lo steampunk è arrivata, però, nel 1995, quando Paul Di Filippo riunì tre storie, precedentemente apparse altrove, in un unico volume e scelse, con un colpo di genio, un titolo che era tutto un programma: The Steampunk Trilogy. Questo volume è stato ora riproposto da Silvio Sosio nella collana Odissea Fantascienza della Delos Books con il titolo La trilogia Steampunk.
Una buona occasione per entrare al cuore di questo filone narrativo ed è comunque un’opera che non può mancare nella biblioteca di ogni appassionato.
Il contraltare visivo e grafico di questo romanzo – per chi vuole approfondire – può essere considerato quel capolavoro a fumetti che è La Lega degli Straordinari Gentlemen (titolo originale The League of Extraordinary Gentlemen) di Alan Moore (storia) e Kevin O’Neill (disegni). Come è noto, la graphic novel del grande Moore rivisita i grandi romanzi della letteratura vittoriana, riproponendo personaggi come il capitano Nemo, Henry Jekyll, Mina Murray, Allan Quatermain, l’Uomo invisibile, Mycroft Holmes, riuniti in un gruppo di stampo supereroico (non a caso il nome richiama la Justice League of America della DC Comics).
È opportuno, insomma, riparare a questo torto: lo steampunk è un tipo di narrativa che forse è stata frettolosamente messa da parte e invece andrebbe rivalutata, perché le atmosfere che si respirano nelle opere di questo filone sono particolarmente accattivanti, con uno sguardo alla tecnologia del nostro presente e uno al passato, dove questa tecnologia viene reinventata. Verrebbe quasi da chiedersi: e se Steve Jobs fosse stato un suddito dell’Inghilterra vittoriana, e non uno yankee del nostro presente, come sarebbero i nostri computer?
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