Si addormentò infine senza rendersene conto. In sogno, si ritrovò nella biblioteca dell’abbazia. Si rese conto di star sognando, anche se non sapeva dire perché. Sembrava tutto assolutamente realistico. Allungò le mani per afferrare un libro assai vecchio. Era una storia dei Gesuiti. Ma non ebbe bisogno di aprirlo per rendersi conto che già ne conosceva alla perfezione il contenuto. Com’era possibile? Naturalmente ne conosceva la storia, ma ora nella sua testa affluivano particolari che prima di allora gli erano sconosciuti. Prese un altro tomo. Era un testo sulla filosofia scolastica: ma anche lì, prima ancora di aprirlo ne ricordò perfettamente il contenuto. Che stava succedendo? Si girò, abbracciò con lo sguardo l’intera biblioteca, e la sua mente fu inondata di nozioni, concetti, immagini che fino ad allora gli sembrava di ignorare. Dovette sedersi per terra e cercare di riprendersi, tant’è era il peso di quella mole di conoscenza sgorgata improvvisamente dal nulla.

— Ero certo che l’avrei rivista qui —, disse Bartolomeo Vincentini entrano nella grande sala. Sembrava più giovane: era il Vincentini degli anni d’oro, quelli del premio Nobel e delle grandi scoperte. Aulard lo guardò.

— L’iperuranio? —, chiese. L’altro annuì.

— Croce e delizia di ogni sapiente —, rispose. — Capisce ora cos’è accaduto ai miei colleghi?

Santo cielo!, si disse Aulard. Ora capiva! — Hanno raggiunto l’iperuranio ma sono stati seppelliti dall’eccesso di conoscenza. Niente più verità nascoste. Questo è… questa è la fine di ogni ricerca. È la meta finale. Non c’è più niente, dopo. Solo la piena, assoluta conoscenza.

— Esatto —, riconobbe Vincentini. — Lei, amico mio, si è fermato appena in tempo. Se avesse insistito, se avesse continuato ad abbeverarsi a questa fonte illimitata, sarebbe stata spazzato via. Ora sappiamo entrambi che la morte non era la soluzione. Capisce invece cos’è successo? Dove abbiamo sbagliato?

Ora Aulard sapeva anche quello. Si rialzò. — Non vi siete fermati quando dovevate. Avete continuato a cercare di ottenere di più. I suoi colleghi volevano aprire tutte le porte, leggere tutti i libri, anche quelli non ancora scritti. Possedere l’onniscienza. Ma non possiamo ottenerla. Che senso avrebbe?

— Aveva ragione lei — confessò Vincentini. — Che importanza ha possedere tutta la conoscenza del mondo senza poterla condividere? Dio deve soffrire di un’infinita solitudine. Ma anche se l’intera umanità possedesse questa conoscenza, cosa ne ricaverebbe?

— Sarebbe la fine dell’umanità —, osservò Aulard. — Non ha senso vivere se si sa già tutto. La nostra vita ha senso solo perché continuiamo a cercare risposte. Abbiamo bisogno di domande per sentirci vivi.

— Ora capisce anche perché la sua esistenza ha incrociato la mia, amico mio! A differenza dei miei colleghi, io ho potuto accedere all’iperuranio e condividere con lei le mie conoscenze. Lei dovrà fare lo stesso. Ci saranno altre persone che avranno bisogno di intuizioni per portare avanti la ricerca della verità. Lei ora è l’unico uomo al mondo ad avere questo dono. Cerchi gli altri, come ho fatto io. Ma sia certo che siano le persone giuste. Se lo saranno, useranno questo dono per fare del bene all’umanità. Altrimenti…

— Mi sta assegnando un’enorme responsabilità —, disse Aulard. Vincentini scosse la testa.

— Non io. Non so chi. Dio? Un Demiurgo platonico? O qualcos’altro? Ancora non lo so. È l’ultima domanda alla quale ancora non ho avuto risposta. Ma intendo continuare a cercarla, anche ora, nell’aldilà. Finché avremo domande, vivremo.

— Allora la rivedrò ancora? —, chiese Aulard.

— Temo di no. Io ho fatto la mia parte, nel nostro mondo e in questo. Ora tocca a lei. In quanto a me, quale che sia il mio destino, non sarà sulla terra. Addio, monsieur Aulard. Addio Dominque —.

Vincentini uscì dal salone e scomparve. Aulard si svegliò. Qualcuno stava bussando alla porta. Confuso, si alzò e aprì. L’Abate lo fissò con aria grave.

— Mi dispiace doverla svegliare… —, cominciò.

L’altro annuì. — È tutto a posto. Lo so. È morto. L’Abate sembrò stupito.

— Sì… sì. Vuole vederlo per l’ultima volta? Aulard si lasciò guidare fino alla camera del vecchio scienziato. Era lì, steso sul letto, come l’aveva lasciato. Aveva ancora il Vangelo aperto sul petto, e il dito teso come se stesse leggendo. Aulard si avvicinò. Era il Vangelo di Luca. Il dito indicava con forza una frase. Lo studioso si sporse per leggerla meglio. Diceva: “Non temere, ti farò pescatore di uomini”.