— E lei, amico mio, non ha forse visto qualcosa, questa notte? —, replicò lo scienziato.

Aulard scosse incerto la testa. — Non posso dire di aver visto qualcosa di chiaro. Ho sentito, ho percepito. Mi sembrava di essere febbricitante. Ma, sì, ho capito qualcosa. Ho collegato il brano del Fedone che lei mi ha consigliato con il versetto di San Paolo. È per questo che i suoi colleghi si sono uccisi: pensavano di riuscire così a penetrare il segreto dell’iperuranio, ricongiungendosi con esso. Vedere faccia a faccia e non più attraverso uno specchio.

— Esatto, esatto —, mormorò stancamente il vecchio. — Io non li seguii, perché da buon cristiano non mi sembrava giusto affrettare il ricongiungimento con il Signore. Dopotutto, i miei colleghi erano razionalisti. Non riuscirono a trovare un conforto come potevo riceverlo io, con la preghiera e la fede. Per loro, vivere senza riuscire a capire il segreto dell’iperuranio era un tormento. Morire, una liberazione. Io ho dovuto vivere con il peso dei ricordi e dei rimorsi.

— Non posso dirle di credere ancora a questa storia, professore —, disse Aulard. — Ma se fosse vera, dovrei averci un ruolo anche io. Perché? Secondo lei perché dopo tanti anni è riuscito di nuovo a… a viaggiare nell’iperuranio? E perché ha trovato proprio me?

Vincentini restò in silenzio per un po’. Infine, sospirando, disse: — Non lo so. Speravo di riuscirlo a capire una volta che lei fosse venuto qui. Eppure, ancora non mi è chiaro. Lei sta senz’altro riuscendo ad accedere a sua volta al mondo delle Idee. Solo ombre, per il momento, ma sufficienti a schiarirle la mente. Ciò nonostante, né lei né io stiamo venendo a capo del mistero. E ora temo che ricominci tutto daccapo…

— Forse, il modo migliore di affrontare il problema è… non affrontarlo —, suggerì Aulard. — Lei è cristiano, professore. Si affida a Dio e ai suoi disegni senza chiedere perché. Forse, dovrebbe continuare a farlo, come ha fatto fino a oggi.

— Sì, sono cristiano —, replicò Vincentini — ma resto anche uno scienziato. E da scienziato vorrei venire a capo di tutto.

— E finire come i suoi colleghi? Che senso ha? Una volta scoperto il mistero, non potrà comunicare agli altri, quaggiù. Lentamente, Vincentini si voltò per guardare bene Aulard. Pareva che lo vedesse per la prima volta. Pareva riflettere.

— Lei ha speso tanti anni per scoprire il segreto di noi sette. Lascerebbe tutto adesso? —, volle sapere.

— Sarò sincero con lei, come lei lo è stato con me, professore —, disse Aulard. — Io non sono un uomo di fede. Non sono certo di credere nella sua storia. Ma devo arrendermi di fronte al fatto che la ragione, da sola, forse non basterebbe a trovare un’altra spiegazione. Tuttavia, se il solo modo di acquistare la conoscenza è morendo, allora non sono sicuro di volerla ottenere. Dopotutto, non credo nemmeno in un aldilà. E se pure esistesse, e fosse il suo iperuranio, non ci guadagnerei molto. La conoscenza, per essere buona, dev’essere condivisa. Lei, come scienziato, concorderà con me.

Vincentini non riuscì a replicare. Chiuse gli occhi, e per un po’ Aulard pensò si fosse assopito. Poi si riprese e afferrò gentilmente la mano dello studioso.

— Ha ragione —, mormorò. — Non potevo andarmene senza raccontare a qualcuno delle cose straordinarie che mi sono capitate. Sono felice di averla incontrata, monsieur Aulard. Mi sarebbe piaciuto poterla conoscere prima. Ma si dice che le amicizie degli ultimi anni sono buone come quelle dei primi. E io penso di conoscerla abbastanza per poterla considerare un amico.

Aulard fece uno sforzo per replicare, con voce incerta: — Lei mi ha fatto un grande onore, professore. Conserverò per sempre il suo ricordo.

Vincentini lasciò la mano e indicò il tavolo. — Mi passi il Vangelo. Tra poco arriverà la mia ora. Vada a chiamare l’Abate. Devo prepararmi. Lo studioso ubbidì. Ma, prima di abbandonare la stanza, restò sull’uscio a contemplare il vecchio che stava aprendo con calma il libro.

Vincentini sollevò lo sguardo. — Non tema, ci rivedremo —, disse. Aulard uscì.

6

Stava seduto alla scrivania, davanti alla finestra che dava su un cortile interno. La sera era calata da un pezzo, ma Aulard non si decideva ad andare a dormire. Il dottore aveva confermato che la situazione era critica. L’Abate aveva somministrato l’estrema unzione. Dalla finestra, Aulard vedeva l’edificio dove erano ospitati i canonici, ma le camere di Vincentini affacciavano dall’altra parte. Non poteva far altro che aspettare. E poi?, si chiese. Che fare? Tornare a casa e rimettere mano al suo libro? La gente avrebbe creduto a quella storia? Probabilmente l’editore non gliel’avrebbe mai fatta pubblicare. Del resto, l’Abate aveva chiarito che, anche dopo la morte, non sarebbe stata rivelata la vera identità di padre Bartolomeo. Guardò le carte sparse sulla scrivania, gli appunti raccolti in anni di ricerche sui Sette, i “conquistatori dell’iperuranio”. Una definizione davvero infelice, a suo modo di vedere. Vincentini l’aveva capito? Chissà.