— Dominique Aulard, sono ospite al convitto —, rispose lui. — Ero venuto… — Ah, ma certo —, fece l’altro, e la faccia gli si schiarì. — Padre Bartolomeo mi ha ordinato di farle avere un testo. Sarei venuto a portarglielo in serata, prima di andare via, per evitare questo sole terribile…. Ma vedo che mi ha sollevato dal disturbo. Aulard si trovò tra le mani i dialoghi platonici che lo scienziato gli aveva promesso. Ringraziando il bibliotecario, tornò nella sua camera e posò il volume sulla scrivania. Non aveva voglia di mettersi a studiare. Si stese sul letto e cercò di fare mente locale. Doveva davvero dar retta ai discorsi di Vincentini? La sua parte razionale non aveva dubbi: il vecchio scienziato ormai aveva perso il lume della ragione. Eppure, nonostante tutto, Vincentini sembrava perfettamente lucido nei suoi discorsi. E per quanto esistessero diversi ipotesi razionali capaci di spiegare il segreto dei “conquistatori dell’iperuranio”, il loro tragico destino, la scelta singolare del premio Nobel di rifugiarsi in monastero, e il perché fosse a conoscenza dei suoi studi sull’argomento, Aulard non riusciva a sfuggire al fascino di quell’incredibile storia. Fu solo dopo un paio d’ore di confuso dormiveglia che lo studioso si decise ad allungare la mano verso il libro suggeritogli dallo scienziato. Li conosceva, certo, i dialoghi di Platone. Certamente Vincentini voleva rinfrescargli la memoria con la storia dell’iperuranio, il mondo delle Idee platoniche, a cui i Sette sembravano credere come a una realtà fattuale. Ma quando aprì il libro, Aulard notò un’orecchietta, lasciata sbrigativamente a mo’ di segnalibro. La pagina indicata era del Fedone. Aulard tornò lentamente a sedersi sul letto e prese a leggere. Tenuto conto dei precedenti, era certo che Vincentini gli avesse lasciato un altro indizio. Era lì che parlava dell’iperuranio? Non ricordava… ma dopo qualche minuto capì tutto. Il significato del brano era chiaro e spaventoso al tempo stesso. Era quello in cui Socrate perorava la beatitudine della morte, dal momento che così facendo l’anima sarebbe tornata nell’iperuranio da dove proveniva, non più frenata dal peso inutile del corpo.

Platone, attraverso Socrate, sosteneva la teoria della reminiscenza: la conoscenza non è altro che il ricordo di ciò che già sapevamo prima di nascere, quando l’anima albergava nel mondo delle Idee. E sosteneva allora che fosse un bene morire senza rimpianti, perché, lesse Aulard a bassa voce tra sé, “l’anima se ne andrà verso quel luogo che le si addice, verso l’invisibile, verso il divino, l’immortale, l’intelligibile, dove, una volta giunta, sarà felice, libera dall’errore, dalla malvagità, dalla paura, dalle selvagge passioni, da tutti gli altri mali dell’uomo e dove potrà trascorrere tutto il tempo avvenire, come si dice a proposito degli iniziati, veramente, in compagnia degli dei”. Con quelle parole in mente, Aulard si addormentò. E allora gli parve di volare immerso in una luce confusa, da cui sembravano provenire sussurri, frasi apparentemente chiare, ma in realtà prive di senso; sentì la sua mente rischiararsi lentamente, distendersi quasi, farsi leggera, riscaldata come dal fuoco di un camino.

— È questo, l’iperuranio? —, si chiese. E a un tratto tutto gli sembrò più chiaro. Aveva capito. Era ovvio. Doveva solo cercare di appuntarsi quell’intuizione emersa all’improvviso dentro di lui. Doveva tornare indietro, nella sua stanza, a Novacelle, e fare mente locale…

Fu svegliato all’improvviso da una sonora bussata alla porta della sua camera. Che ore erano? Sembrava notte fonda… no, doveva essere l’alba. Quanto aveva dormito? Con grande sforzo, si alzò e aprì la porta. Era Andrea.

— Padre Bartolomeo mi ha chiesto di disturbarla nonostante l’orario. Vorrebbe che l’accompagnassi da lui nuovamente.

Già, pensò Aulard. Non aveva forse detto così, Vincentini? “Quando avrà avuto la giusta intuizione, io lo saprò e ne riparleremo”. E ora lui l’aveva avuta.

Aveva dormito vestito, e non aveva intenzione di rimandare oltre il nuovo incontro: — La seguo —, rispose. Le luci dell’alba rischiaravano, lontane, le Dolomiti. Aulard respirò l’aria del primo mattino. Cominciava a vedere tutto più chiaro. Vincentini lo accolse a letto. Sembrava peggiorato rispetto al giorno prima: — Il dottore mi ha imposto riposo assoluto —, chiarì. — Ma le buone abitudini, per fortuna, sono dure a morire. Mi sveglio sempre presto la mattina, per le preghiere. L’ho fatta disturbare a quest’orario inurbano perché questa notte mi è sembrato di vederla più chiaramente, nell’iperuranio…

— Non aveva detto che non avevate più accesso a quella dimensione? —, domandò scettico Aulard. Vincentini sorrise debolmente.

— Non sono stato del tutto sincero con lei. Negli ultimi mesi qualcosa è cambiato. È così che ho saputo di lei. È per questo che l’ho fatta venire da me.

— Lei mi ha visto nell’ipeuranio?