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A cena, nel refettorio praticamente vuoto, Aulard cercò di fare onore al minestrone che gli avevano preparato, per quanto lo ritenesse un po’ fuori stagione. Quando ebbe finito, la cameriera gli annunciò la visita dell’Abate. Aulard capì che si riferiva al prevosto dell’abbazia e decise di accoglierlo in piedi. Era un vecchio dal naso grosso e dai tratti poco armoniosi, ma Aulard fu colpito dalla profondità dello sguardo.

— Buonasera monsieur Aulard —, lo salutò. — Buonasera, padre —, rispose un po’ a disagio, non sapendo quale titolo preciso dovesse aggiungere. Ma l’altro non diede cenno in proposito e si accomodò invitandolo a fare altrettanto.

— Questa mattina il nostro confratello, padre Bartolomeo, mi ha fatto sapere di aspettare una visita —, esordì l’Abate. — Me ne sono rallegrato, perché purtroppo padre Bartolomeo è in condizioni di salute molto precarie e probabilmente è vicino alla fine dei suoi giorni qui tra noi. Sapevo che non avrebbe contattato i suoi parenti. Mi ha poi informato che si trattava di uno studioso e mi ha fatto il suo nome. Mi ha detto che voi due non vi siete mai conosciuti prima, ma che in qualche modo lei lo conosce meglio di tutti coloro che sono oggi ancora in vita. Devo dire che l’affermazione mi ha un po’ stupito. Se ho capito bene, lei è uno studioso di storia della scienza. Ha scritto diversi libri importanti.

— Sì. In effetti, per questo mi sono interessato molto alla vicenda di… di padre Bartolomeo —, disse Aulard, inciampando sul nome. — Ma ammetto di aver ignorato fino a due giorni fa quale fosse stato il suo destino.

— Ha ricevuto una sua lettera, ho saputo. Aulard annuì, incerto.

— Sì, mi ha informato con una lettera. Non del tutto convenzionale, in realtà…. E mi domando anche come abbia fatto ad avere avuto il mio indirizzo.

L’Abate non rispose ma restò in silenzio per qualche istante. Poi scosse la testa. — Non si faccia troppe domande, monsieur Aulard. Padre Bartolomeo è un uomo che ha ricevuto da Dio la grazia di un’intelligenza non comune, che ha messo al servizio dell’umanità prima e di Dio poi. È un uomo che ha fatto un gran bene. Non ho mai voluto approfondire le ragioni delle sue scelte. Non ero qui quando lui è entrato in abbazia, ma ho saputo la storia dal mio predecessore. La sua perdita lascerebbe un vuoto incolmabile. Spero che possa aiutarlo, anche se lei stesso ignora molte cose. L’Abate si alzò. — Le manderò un nostro collaboratore domani, quando padre Bartolomeo sarà pronto a riceverla. Nel frattempo, si goda il soggiorno. Domattina c’è la messa alle sette.

— Non mancherò —, rispose Aulard, stringendo la mano al prevosto, benché non fosse mai stato un fervente praticante.

Alla fine della messa, la mattina successiva, un uomo in abiti laici lo accostò: — Il monsieur Aulard? —, chiese. L’altro annuì. — Venga, le faccio strada. Era uno dei lavoranti nella vigna dell’abbazia, spiegò mentre l’accompagnava. Aulard sapeva che la vigna costituiva una delle principali voci di reddito dell’abbazia, e la sera prima, a tavola, non aveva faticato a crederlo assaggiando il loro vino. I due superarono il cortile della basilica e quello più esterno, ed entrarono in un cortile occupato da uno splendido giardino.

— Non avevo visto questa parte ieri… —, commentò ammirato Aulard.

— Il giardino storico fa parte dell’ala di clausura dell’abbazia —, spiegò il suo accompagnatore. — È aperto al pubblico solo alcuni giorni della settimana. L’edificio che si affaccia sui giardini è quello dove risiedono i canonici. Venga, la porto alla camera di padre Bartolomeo —, esortò.

Salirono un paio di rampe di scale e arrivarono in uno stretto corridoio, fermandosi davanti alla terza porta sulla destra. Il giovanotto bussò.

— Avanti —, invitò una voce. Entrarono. — Grazie, Andrea —, fece Bartolomeo Vincentini. Andrea fece un cenno con la testa e si accomiatò.

Aulard, rimasto al centro della stanza, fissò quasi impietrito il vecchio che, senza ombra di dubbio, era stato il grande premio Nobel. Era seduto alla scrivania e un catetere gli si infilava nel braccio destro. Ma, nonostante l’aspetto gracile e malaticcio, lo sguardo appariva lucido.

— Si sieda, caro amico —, gli disse Vincentini accennando alla sedia davanti a sé. — La ringrazio per aver accettato il mio bizzarro invito. Sapevo che l’avrebbe fatto. Aulard riconosceva la voce dello scienziato, pur invecchiata. L’aveva sentita in tante registrazioni.

— Lei mi sta concedendo un’occasione unica, professore —, esordì, intenzionato a venire subito al punto. — Vorrei sapere come ha fatto a sapere delle mie ricerche. Cosa sa sul mio conto? Come…

— Come? —, lo interruppe il vecchio. — Il ‘come’ è la parte più difficile. Cosa so su di lei? Parecchio. Ho letto i suoi lavori. So che dopo lunghe ricerche è riuscito a individuare le identità di tutti i sette compagni. Lei ci chiama, molto semplicemente, i Sette. Ma a noi piaceva definirci, un po’ per scherzo un po’ per narcisismo, i “conquistatori dell’iperuranio”.