Infatti la vera divergenza dalla nostra linea temporale si colloca nel 1941, quando il governo americano approva il Sitka Settlement Act (nella realtà, la proposta di Slattery, sottosegretario di Ickes, fu bocciata per l’opposizione del delegato del territorio dell’Alaska al Congresso, Anthony Dimond) e con esso la proposta di accogliere in Alaska gli ebrei perseguitati da Hitler. Quando nel 1948 l’ostilità del mondo arabo sancisce il crollo del neonato stato di Israele, Sitka resta l’ultimo insediamento per il popolo ebraico: Hotzeplotz (come il primo titolo provvisorio dato da Chabon al romanzo), da un proverbio yiddish in cui indica grosso modo il posto alla fine del mondo, l’esilio degli esili, il fazzoletto di terra sperduto nel nulla. Questo appena dipinto è il background del romanzo, lo sfondo di una trama che s’infittisce lentamente ma inesorabilmente di capitolo in capitolo, sfiorando le vette di complessità dei romanzi-labirinto della tradizione postmoderna. Se si vogliono individuare i maestri omaggiati pagina dopo pagina dall’autore statunitense, dobbiamo cercarli in egual misura alle origini della letteratura yiddish, con Sholem Aleichem e i suoi affreschi in zhargon (il “gergo”, la lingua vernacolare accessibile a tutti contrapposta all’ebraico utilizzato solo dagli ebrei istruiti) degli shtetl, ovvero le comunità ebraiche fiorite nei piccoli centri dell’Europa dell’Est e nelle metropoli americane; tra i padri della letteratura poliziesca, con i fondatori della scuola hard-boiled Dashiell Hammett, Raymond Chandler e Ross Macdonald; e tra i titani della letteratura postmoderna, alle cui trovate la scrittura di Chabon s’ispira.Un punto di contatto particolare lo si potrebbe azzardare guardando al capolavoro cabalistico del più complesso, enciclopedico e labirintico di tutti, Thomas Pynchon: l’impatto finale del missile segreto che chiude la sfrenata, visionaria scorribanda de L’arcobaleno della gravità (Gravity’s Rainbow, 1973) sembra preludere all’impatto nucleare che chiude l’epoca dei totalitarismi europei e apre la fantasiosa stagione artica di Sitka. L’immagine delle traiettorie che percorrono lo spazio delle fasi di una storia immaginaria ricorre lungo il romanzo, come pure il tema della deflagrazione, della disintegrazione: della trama del tempo, dei rapporti sociali, delle relazioni umane, degli affetti e infine, come in ogni buon noir che si rispetti, delle certezze dei protagonisti e del lettore.Il sindacato dei poliziotti yiddish non è sicuramente un romanzo riducibile a un intreccio, né tantomeno di facile incasellamento in un genere ben definito. La scrittura di Chabon è ellittica, sinestetica, densissima di analogie e metafore, intessuta di riferimenti colti che spaziano dalla tradizione ebraica al gioco degli scacchi, fino ai summenzionati precorritori letterari.

Malgrado questo, la messe di premi e riconoscimenti raccolti nell’ambito della fantascienza mondiale (premi Hugo, Nebula e Locus per il miglior romanzo dell’anno, premio Sidewise per il miglior romanzo di Storia Alternativa, nomination al British Science Fiction Association Award e all’Edgar Allan Poe Award) come pure fuori dal settore, da parte della critica mainstream, testimoniano il grado di riuscita dell’impresa di Chabon. Al punto da calamitare l’attenzione delle major, che dal 2008 hanno messo in pre-produzione una pellicola affidata alla regia dei fratelli Coen (per la gioia dell’autore, che ritiene il loro approccio particolarmente adatto alla sensibilità della sua opera).

Vista la sua complessità, forse conviene analizzare il romanzo a partire da alcune parole chiave. Proviamo a sceglierne quattro e a farle scontrare per estrarre dal diagramma della collisione uno schema che ci possa aiutare a fotografare la grandiosità dell’opera di Michael Chabon.