Un secondo elemento interessante è che immagini che i residui allucinatori tossici dei cartoni siano una sorta di poltiglia che ha invaso la periferia di Milano (nel romanzo tu chiami la periferia orientale “WC - Wet City”) e minacciosamente si dirige verso il centro della città. Si può leggere quest’elemento come la metafora della moderna dinamica tra il centro e la periferia delle grandi metropoli, con il centro che si fa più periferia e la periferia che a sua volta tenta di diventare il “centro” delle città?

Più che la moderna dinamica che vuole invertire il centro con la periferia ci vedrei un neppure tanto velato appello ecologista. Milano è quello che è perché abbiamo (tutti) permesso che lo diventasse. Senza muovere un dito. I residui allucinatori tossici dei cartoon sono un vero e proprio mare di schifezze che cinge d’assedio la città. E’ il problema che si rivolta contro il suo - inetto, distratto, insofferente? - creatore. Ho immaginato che per anni i milanesi abbiano spazzato la polvere sotto il tappeto... e ora il tappeto cammini sulle gambe di acari grossi come topi. Fine della storia!

I protagonisti del romanzo sono ancora una volta Lapo “Lupus” Montorsi e il suo vice Khaled Mushmar. Quanti e quali cambiamenti nel loro modo di essere devono aspettarsi i lettori che hanno già letto le loro peripezie in Infect@?

Sono trascorsi sette anni dalle vicende di Infect@. E anche gli uomini - come i mari - cambiano e invecchiano. Montorsi è in odore di pensione, osteggiato dai suoi capi per la gestione non certo brillante del caso Darko di Infect@, emarginato dai colleghi che lo vedono ormai come un dinosauro senza arte né parte, fuori da tutti i giochi. Divide la sua solitudine da “scapolone” con un cane-mosca, che Mushmar dichiara spesso - scherzando - che si potrebbe divorare in tre/quattro bocconi... Mushmar, invece, è un rampante ispettore capo, che sgomita per avere visibilità, aiutato in questo dal suo brillante intuito levantino. In realtà le cose non saranno così lineari, e Montorsi - cagnolino o no al seguito - darà dimostrazione di essere tutt’altro che finito... Avrà una seconda possibilità e la coglierà con lo spirito di un ragazzino.

Accanto a loro ci sono due comprimari: un cattivo, un serial killer che si chiama “Il Mescolatore” perché uccide e smembra sia gli esseri umani sia i cartoni, e una donna, Cora Kusiak, una cacciatrice di cartoon, affetta da una rara forma di daltonismo - la discromatopsia - che le induce una visione in bianco e nero della realtà. Ce ne parli e che ruolo hanno nella storia del tuo romanzo?

Cominciamo dalla “lei”. Cora è l’emblema della donna autonoma, indipendente ed emancipata: gran lavoratrice, cacciatrice implacabile, esperta di arti marziali e nella difficile alchimia di sopravvivere alla strada. Ma è anche una donna resa fragile dal suo handicap e da una sensibilità fuori del comune. Quanto al “Mescolatore” è un killer invasato, egli stesso vittima sacrificale dei propri folli progetti; abilissimo a scomparire nelle pieghe dell’invisibilità, personaggio assolutamente privo di qualsiasi scrupolo morale anche nelle relazioni interpersonali, a cui volente o nolente deve piegarsi. Un uomo profondamente ossessionato dai cartoni, al punto che... Non lo dico, non voglio fare spoiler!

Infect@ è stato letto come una contaminazione tra fantascienza e noir, e chi invece ha colto nella presenza dei cartoni animati un interessante elemento di pop culture che di fatto rende il romanzo singolarmente originale. A mio giudizio, al di là delle “etichette” che valgono quello che valgono, il tuo romanzo è comunque la dimostrazione, così come altri di alcuni tuoi colleghi, che se si vuole si può scrivere qualcosa di originale mescolando elementi tipicamente italiani con altri che appartengono al patrimonio culturale del mondo, come nel tuo caso i cartoni. A te come piace definire Infect@ e Toxic@?

Future noir, alla Morgan; noir fantascientifico; cybernoir... un’etichetta vale l’altra. Il succo è che trattasi di una crime story ambientata nel futuro, con elementi contaminati che non appartengono all’iconografia classica né della fantascienza né del fantastico in senso lato. Da qui la definizione che ne ho provocatoriamente dato io: fantascienza pop! Se il ciclo di Infect@ & Toxic@ fosse un quadro sarebbe un quadro di Andy Warhol o di Keith Haring o per venire più vicini a noi di James Cauty. Ovviamente in salsa meneghina: il che significa che vado profondamente orgoglioso di ambientare storie di fantascienza fuori del cortile di casa, nei luoghi con cui incrocio lo sguardo tutti i santi giorni nel tragitto casa-lavoro. Se invece fosse un film... beh, nei titoli di coda ci sarebbero nomi con Michael Bay, John Woo, Quentin Tarantino, Christopher Nolan...