Il presidente scrutò in se stesso. E all’improvviso non fu del tutto certo d’aver impartito direttive chiare e inequivocabili al segretario McKlaas. Il pensiero di Judith – un sottofondo minaccioso – lo investì brutalmente. La rivide nella Mater Nostra, clinica oncologica d’avanguardia, prigioniera in un tunnel dal quale non sarebbe ritornata.
Alexander Porfirijevitch Cerneskov stava varcando la soglia del Palazzo. Sul suo volto rubizzo aleggiava un sorriso: eppure, per un attimo, l’espressione soddisfatta si contrasse visibilmente. Il suo intervento all'Assemblea aveva indiscutibilmente avuto peso. Ma ora, riflettendo su alcuni dettagli di quelle proposte per una maggiore distensione nel mondo, Cerneskov ebbe la sgradevole sensazione di non aver saputo esplicarle e valorizzarle nel modo autorevole, convincente e anche spregiudicato che ci si attendeva dal Presidente del Presidium del Soviet Supremo; quell’atteggiamento che egli, benché fondamentalmente un timido, solitamente riusciva a mostrare.
Non poteva dimenticare il fatto che, poche settimane addietro, alcuni cosmonauti avevano calpestato per la prima volta il pietroso suolo di Marte. “Eroici pionieri”, erano già stati definiti i nuovi popolari eroi. La Storia si stava impossessando delle immagini di uomini che si chiamavano Williams, Mulberry, Schoen, O'Brian... Pazienza, si ripeté Cerneskov. Si ripromise di farne tesoro per l'avvenire. Questione di prestigio internazionale. A costo di qualsiasi sacrificio, occorreva intensificare gli sforzi nella ricerca e nell'esplorazione spaziale. Doveva premere affinché il suo governo stornasse fondi magari già imputati ad altri settori economici. Si trattava di un’ulteriore revisione dei piani, probabilmente con altri tagli...
Lo sfiorò il pensiero degli studi, assolutamente segreti, su quella che veniva definita “arma totale”. Erano necessari altri cospicui stanziamenti. Per contro, avrebbe favorevolmente esaminato l'eventualità d’un finanziamento per comparti meno impegnativi dell'armamento convenzionale. Al suo rientro a Mosca avrebbe dovuto discuterne al più presto.
Rinunciò ad altri approfondimenti, le estenuanti sedute in assemblea avevano provato il suo sistema nervoso. In albergo avrebbe fatto anzitutto una buona doccia calda e poi una lunga dormita.
Achille aveva inserito il tubo nel serbatoio della carrozzella. Sì guardò attorno per assicurarsi che nessuno notasse il suo armeggiare. La gente appariva ipnotizzata e fissava la porta del Palazzo. Capì che poteva agire indisturbato.
Portò l’altra estremità del tubo alla bocca e aspirò con energia. Aveva evitato di servirsi di contenitori o lattine che forse (eccesso di prudenza?) avrebbero potuto destare sospetti. Staccò il tubo dalle labbra e rivolse verso se stesso l'imboccatura: con un leggero gorgoglio, il liquido freddo lo inondò.
Gli indumenti ne furono immediatamente impregnati e Achille sentì infiltrarglisi dentro un gelo infinito che non era una conseguenza fisica di ciò che lo bagnava. Il tremito alle membra si accentuò, divenne quasi incontrollabile.
Non devo fermarmi proprio adesso!
Nei limiti dell'umano si sforzò di restare indifferente, di non partecipare alle proprie personali vicende, ma solo a ciò che accadeva intorno.
Non pensarci.
Migliaia di occhi erano calamitati dall'attesa passerella dei Grandi. Intanto, dopo le urla reiterate, ora la folla taceva all’improvviso come trattenendo il respiro: nelle vesti di alcuni individui, ciascuno remante nella propria barca, il Palazzo di Vetro stava per emanare in modo visibile, concreto, le suggestioni del Potere. Dal silenzio emergevano brandelli di voci, un gracchiare dalle radioline, musiche di famose band. Qualcuno accanto ad Achille scalciò lattine e barattoli accumulati per terra. Un giovane biondo e accaldato terminò di scolare la sua coca-cola e lasciò cadere la bottiglia che si frantumò tra i piedi, sul selciato. Le esalazioni di sudore erano intense, la brezza che giungeva dai Queens non riusciva a disperderle. Ma c’era soprattutto sentore di tensione, di curiosità, speranza, paura, odio...
E poi c’era qualcosa che Achille Cordeiro, unico, sapeva percepire. Grazie ai suoi tentacoli cerebrali solo lui - uomo diverso da tutti - possedeva la capacità di penetrare nella sfera psichica altrui: riceverne i pensieri, e proiettare i propri e le proprie sensazioni nelle menti di chi gli stava intorno. Uomo più di chiunque, per la sua facoltà di condividere direttamente le altrui sensazioni, le tragedie del mondo.
La sua condanna.
Era questo, ciò che Achille percepiva attorno tangibilmente, sensorialmente, più che mai: la condizione umana nelle sue migliaia di sfaccettature.
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