— Il Panaro continua a ingrossare. Anche il Secchia e il Reno. A Pontelagoscuro, il Po supera di tre metri il livello di guardia. Al Finale, gli argini del Panaro potrebbero cedere. Telefonerai in redazione le novità.— Devo partire subito?— In giornata. Aspetta, torna a sedere. Ha telefonato da Finale il professor Guglielmo Borsari. Vuole precisazioni su un trafiletto pubblicato la scorsa settimana. Un banale fatto di cronaca. Ricordi?

Un camioncino bruciato sulla via Emilia, tra Modena e Castelfranco...

— Sì, l’ho scritto io. Ma chi è questo professor Borsari?

— Un archeologo. Un esperto di preistoria padana, specializzato nel neolitico della Bassa... Perché quella smorfia?

— Il neolitico... Preistoria... Mi sembrano argomenti così lontani dalla realtà. Dovrei perdere tempo con un professore che studia vecchi sassi... E cosa c’entra col camioncino?

— Questo te lo dirà Borsari. Lo potrai trovare in località Ca’ Rossa, dalle parti del Finale. Dirige una squadra di scavatori occupati a riportare alla luce un villaggio preistorico.

Sulla strada che conduce al Finale, i paesi della Bassa sfilano tutti uguali: villette fatte con lo stampino, il nucleo storico con la chiesa e il campanile, altre villette. Bomporto, Solara, Camposanto, Cadecoppi... I paesi sono come la campagna. Occorre conoscerli e viverli per scoprirli diversi l’uno dall’altro.

Finalmente al Finale. Si ferma in piazza Garibaldi.

— Mi sa indicare la strada per arrivare alla Ca’ Rossa?

— Ne deve fare, di strada — risponde in dialetto l’uomo intabarrato. — Si trova in mezzo alla Valle.

Fa un gesto vago, come se la Valle fosse in un punto imprecisato tra cielo e terra.

Giannina confronta le indicazioni in dialetto con la carta stradale del Touring.

Pochi chilometri da Finale, subito dopo Villa Obici, comincia la Valle le Partite. Ha ancora il nome dell’antica palude, l’ultima a essere prosciugata dalla Bonifica. Esistono ancora pezzetti di acquitrino, ritagli dimenticati dalla geometrica divisione in grandi campi. I casolari conservano il nome della desolazione di un tempo: la Rotta, la Torbida, la Pitoccheria, la Miseria, la Guazza. Qui gli alberi sono sempre stati rari: nella piana, la montagnola laggiù alta una decina di metri, appare maestosa come un everest.

Lascia la Mini sulla strada asfaltata e s’incammina. Gli stivali col tacco alto affondano volentieri nel fango che a ogni passo sembra voler risucchiare la ragazza.

— Avrei dovuto mettere le scarpe basse.

Da vicino, la montagnola appare grattugiata in cima, affettata sulla destra, tassellata qua e là da fossi, buche e altri scavi. Sopra tutto dovevano svettare i due lunghi pioppi che ora giacciono orizzontali, ai lati del carradone, ancora vivi benché tagliati prima delle radici: le foglie verdi respirano disperatamente l’umidità dell’aria.

— C’è nessuno? — grida Giannina.

Scala in un attimo la collinetta. Da quassù si scorgono gli argini del Panaro e una cascina, probabilmente la Ca’ Rossa che ha dato il nome alla località.

Gli scavi non offrono uno spettacolo molto interessante. I buchi rivelano soltanto terra scura, con qualche sasso e grumi d’argilla. Il fondo di ogni fossa è pieno d’acqua.

A metà collina, sul versante opposto a quello percorso da Giannina per salire, sorge una baracca di lamiere col tetto di plastica ondulata. La porta si apre e ne esce un uomo. Dalla cima della collina, la ragazza non riesce a vederlo bene e a farsi vedere.

— Professore! — chiama forte.

L’uomo si ferma un attimo. Poi, senza neppure voltarsi, scende dalla parte opposta.

— Professor Borsari! — chiama ancora Giannina.

Deve essere sordo. O distratto, come i professori delle barzellette. Ha raggiunto la base della collina e si avvia per i campi, indifferente alla pioggia che seguita a scendere, e ai richiami di Giannina.

— Ehiiiiiii…

Diventa sempre più piccolo nella Valle.

— Va’ all’inferno. Se speri che io ti corra dietro in mezzo a tutto quel fango!

La distrae il rumore di un’automobile. Dalla strada asfaltata sopraggiunge una campagnola. Frena all’altezza della Mini, e arriva ai piedi della collina. Ne discende un uomo anziano, i capelli bianchissimi evidenziati dall’impermeabile scuro, di plastica lucida.

Visto da vicino, dimostra meno di cinquant’anni. Un bell’uomo, di quelli che più hanno rughe e più appaiono interessanti.

Le porge la mano. — Sono Guglielmo Borsari. Cercava me?

— Il Professore?.

— Sì, sono l’archeologo.

— Impossibile!

— Cosa significa?

— Mi scusi. Poco fa ho chiamato col suo nome il tizio che abita nella baracca.

Borsari non sorride più. Guarda intorno. Sembra addirittura spaventato.

— Nessuno vive nella baracca. Gli sterratori sono inattivi da molte settimane, da quando è cominciato a piovere.