Raggiunsero, molte ore dopo, un villaggio scavato nella roccia di lava. Rare finestre foravano i coni vulcanici. Bismark si accosciò nella penombra d’una stanza, addormentandosi all’istante. Agnes raccolse degli sterpi e accese il fuoco. Milton ne esaminava i movimenti mutando d’espressione, seduto su una roccia cubica. Osservava le mosse, il corpo svelto, le trecce che ombreggiavano il volto, le collane che frusciavano l’una contro l’altra riempiendo gli echi della stanza.
Il villaggio era costituito da una cinquantina di coni di pietra tondeggianti e irregolari, scavati all’interno. Per qualche secolo aveva servito da rifugio per le comunità umane. Santi e profeti erano stati dipinti sulle pareti, già scrostati e fatti lividi dal calore della stella che bruciava la pietra. Alcuni colori, tuttavia, avevano mantenuto la brillantezza originale e i manti e le aureole d’oro si accendevano scintillando alla luce del fuoco tra colonne ricoperte di scritte, ricordi, ammonizioni e nomi degli uomini scomparsi. La fiamma ne illuminava i volti, le barbe e i capelli, le catene, gli smeraldi, i monili che li ornavano, i topazi che incrostavano le vesti, cingevano i diademi e le corone.
Milton preparò le porzioni della cena. Quando ebbero terminato, la donna si coprì in un angolo con i lembi del mantello e socchiuse gli occhi nel chiarore del fuoco, esaminando i volti che la guardavano dalle pareti. Milton le tese la fiasca dell’acqua, risvegliandola dal torpore. Agnes la sollevò alle labbra poi, senza bere, la ripose al suolo.
— E il bambino? — disse.
— Lo lasceremo qui — rispose l’uomo. — Se sarà capace, potrà trovare da solo l’acqua e il cibo nel villaggio. Per noi non ce n’è abbastanza. Bisogna raggiungere il podere. Ci sarebbe d’impaccio. Lo lasceremo qui.
Agnes lo guardò. — Sai bene che non c’è acqua né altro, in questo villaggio. Non c’è nulla. Solo la roccia.
— E cosa c’è che non va? — disse Milton. — Di che ti preoccupi? — Tese una mano stringendola per il polso. — Vieni qui, Agnes.
— No — disse lei. — No, te ne prego.
— Svegliati! Svegliati, Bismark. Dobbiamo andarcene.
Bismark socchiuse gli occhi nella penombra del fuoco spento. Guardò il corpo dell’uomo sdraiato per terra.
— Alzati, — disse la donna scuotendolo. — Presto, dobbiamo andarcene.
— Ci ucciderà — disse il bambino alzandosi.
— Non potrà trovarci — disse la donna spingendolo verso l’uscita. — Vieni, andiamocene, prima che si svegli.
Attraversarono il villaggio.
— Ma dove andiamo? — disse Bismark. — Ci seguirà dovunque. Non sarà possibile sfuggirgli. Quando ci avrà trovati ucciderà te e poi me. Questo è sicuro. Non abbiamo scampo.
— Vieni — disse la donna. — Non parlare. Cammina. — Si coprì il capo con il cappuccio della tunica che lasciava scoperti solo gli occhi e le palpebre tinte d’azzurro.
— Conosco tutti i villaggi da qui fino ai campi di papaveri. Là non ci troverà mai. E se ci trovasse, il profumo lo renderà folle prima che ci possa raggiungere. Non ci troverà mai — disse ancora la donna. — Conosco luoghi dove non potrà mai raggiungerci.
Il bambino camminava dietro di lei affrettando il passo, correndo quando la distanza si faceva troppo sensibile.
— Ma i papaveri... — disse ansando nella corsa. — I profumi faranno impazzire anche noi... Agnes... i papaveri verdi ci faranno...
La donna non rispose. Superarono il villaggio di Fahan, mentre il deserto si apriva lento senza confini, scintillante e dorato di bagliori, con le cupole infrante, le torri appuntite, il sole che ardeva in una sfera purpurea sul loro capo.
I monili e le collane tintinnarono, le pietre e le monete d’oro riflessero i raggi dell’astro sui lembi del mantello.
Agnes dalle mani azzurre si perse sull’orizzonte, insieme al bambino che portava sulla spalla il lungo fucile dal calcio cesellato.
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