— Non ti voglio male. — continuò. — I vostri corpi di plastica, di gomma, carne e metallo non mi ripugnano, come succede agli altri. Mi siete costati cari, forse più di quello che mi sarei potuto permettere. Ma ne valete la spesa. Il mio podere è solo, silenzioso, deserto. Vi ho comprati per questo. Non voglio più essere solo. Voglio vedere qualcosa che si muova e non abbia la forma di una macchina. Non m’interessa se siete di ferro o di pietra... Maledette macchine! È il silenzio che mi fa impazzire, quelle macchine… sempre in movimento… Gli anax che urlano, gridano, urlano e urlano... È questo che mi sconvolge. Agnes disse: — Lavoreremo per te. Sarchieremo la terra insieme alle macchine. Accatasteremo i sassi, mangeremo insieme. Bismark darà la caccia agli anax e lavorerà con noi. Io... — Tu cosa? — disse l’uomo. — Maledetti! — continuò sottovoce. — Credete di sapere tutto, conoscere ogni cosa, consigliare, parlare di quello che non sanno. Ma al podere sarà diverso. Cambieranno molte cose. E se non andrà come dico io, piegherò e farò gemere questi corpi di ferro fino a spezzarli. — Papà, — disse Bismark — quando arriveremo? — Taci — disse Milton. — Non osare chiamarmi così e non parlare se non sei interrogato. Agnes lo guardava dal seggiolino stringendosi nella veste, senza fare parola.
Milton, asciutta e nervosa figura, gli occhi bruni sempre eccitati, seduto alla guida della Locusta, rivelava di momento in momento l’instabilità del suo carattere, perdendosi in lunghi monologhi di ore, attirando l’attenzione della donna o del bambino sui graffiti che si estendevano sul suolo del canale. Figure esapodi, dalle teste sferiche, mani ungulate, zampe deformi che confluivano nel corpo o disegni di scimmie acefale dalle code attorcigliate si disegnavano, altissime, sulle pareti a strapiombo. Dal bambino, l’attenzione dell’uomo si spostava sulla donna, e era allora un solo monologo sul proprio podere, le difficoltà di quella terra, il pericolo costante degli anax, i poderi che confinavano col suo, separati da migliaia di chilometri quadrati di rocce, ombre incandescenti, vortici e vapori rarefatti alla superficie del pianeta arso dal Sole, sciolto in rivoli e stagni fumanti di pietre gialle.
— Lo sai, Agnes — diceva accarezzandole le guance — che io non ho niente contro voi. Il vostro corpo è quello che è, ma questo non mi importa. Il cuore è una pompa elettrica. Mangiate, bevete, dormite e fate tutto quello che facciamo noi. Siete come gli uomini, forse, perché la fatica, l’inquietudine, la stanchezza, il dolore, la gioia entrano in voi come in noi. Io non sento repulsione a baciarti. Godo quando mi unisco a te anche se so che dietro i tuoi occhi, quello che li muove, che fa alzare il tuo petto, è un ingranaggio, sono ruote, pistoni, differenziali, più minuscoli di un capello, invisibili
come granelli di. polvere. Ma c’è qualcosa che poi mi scosta, qualcosa mi irrita e mi fa diventare furioso. Non riesco a definirlo. Non so che cosa sia, ma lo sento ugualmente... Tu che cosa pensi che sia?
Agnes non rispondeva. Le trecce, lucenti sopra le guance, non si muovevano. Le collane di pietra, perle e metallo, a giri molteplici sopra il petto, i bracciali d’oro ai polsi e alle caviglie, tutto il corpo femminile avvolto nella camicia macchiata di polvere e di sudore, non si muoveva. Gli occhi erano fissi fuori del finestrino, sopra le onde di sabbia che interrompevano il tavolato del canale, si ripetevano all’infinito sempre uguali, ombreggiate e lucide via via che loro vi si accostavano.
— E io... — continuava Milton. — E voi...
Lo scintillare della prima alba li sorprese ancora in viaggio, al centro del canale che si era fatto più largo, coperto dai banchi di vapori della roccia surriscaldata. Il sole era invisibile, ma la sua luce scendeva a tratti disperdendo la foschia.
Il sentiero si perdeva all’orizzonte, i tralicci della linea elettrica si alzavano e si abbassavano. Dopo qualche ora si interruppero. La linea non era mai stata portata a compimento e i poderi agricoli o biologici ricavavano l’energia necessaria dagli specchi solari disposti sulle falde delle montagne che recingevano il canale.
Un anax superò le creste incandescenti avvistando la Locusta che avanzava sulle asperità del terreno. Si avventò sul fondo della valle distendendo al cielo le grandi ali trasparenti, il corpo affusolato, quasi invisibile, l’aculeo ripiegato sotto il ventre. Gli enormi occhi neri e il grido sibilante lo rivelarono, mentre si avventava contro il loro viso, dietro il fragile schermo di plexiglas.
— Milton! — gridò la donna. — Un anax! Sta scendendo su di noi!
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