Fumò un paio di sigarette cercando di mantenersi calmo. Era a stomaco vuoto, il fumo aveva un sapore amaro, disgustoso. Guardò l’orologio elettrico incorporato nello scrittoio, controllò quello che aveva al polso. Pazientemente attese che tutti i candidati prendessero posto.Una voce che veniva dall’altoparlante, al centro del soffitto, si diffuse per tutta l’aula. Le solite raccomandazioni: consegnare libri di testo e appunti, non comunicare con gli altri candidati, infilare l’elaborato nell’apposita fessura allo scadere del tempo regolamentare.La porta d’ingresso si richiuse con un cigolio sinistro. La campana squillò.Guido aprì la cartella numero uno.Quesito primo: “Un sottile cannello di vetro cade a terra e si rompe in tre pezzi. Calcolare la probabilità di costruire un triangolo con i tre frammenti”.Guido sorrise, il calcolo delle probabilità era il suo forte. Si mise al lavoro e con una serie di considerazioni algebriche e un ardito passaggio al limite pervenne presto al risultato. Guardò l’orologio. Aveva ancora dodici minuti. Forse avrebbe fatto in tempo a escogitare anche una soluzione geometrica. Disegnò un triangolo equilatero, sfruttò un noto teorema e con un’osservazione brillantissima sciolse il quesito. Il risultato concordava, la probabilità era 1/4.Infilò la cartella dell’elaborato nella fessura e attese. Aveva avanti a sé quattro minuti abbondanti per rilassarsi.
La campana suonò di nuovo e Guido aprì la seconda cartella. Ci rimase male. Il quesito riguardava l’impianto di calcolo di un’orbita gioviana per un’astronave proveniente da Marte. Seguivano i dati.
Non sapeva da che parte cominciare. Provò a scribacchiare alcune formule, ma senza convinzione. Sapeva di seguire una strada sbagliata, un mese prima aveva affrontato un esercizio analogo sfruttando una formula lunga un palmo, ora completamente dimenticata. Un sudore freddo tornò a inumidirgli la fronte e le guance. Guardò alla sua destra: quattro file più in giù, Alberto Vettori, chino sullo scrittoio, lavorava veloce. Sempre fortunato, quel porco.
Tornò a spremersi le meningi. Quella maledetta formula non voleva saperne di tornare a galla. La mezz’ora trascorse in uno stillicidio di disperazione, e quando la campana suonò, Guido depose nella fessura un elaborato pieno di pentimenti e cancellature.
La semplicità del terzo quesito gli risollevò il morale. Si trattava di fornire la dimostrazione del teorema di Stokes per l’integrale curvilineo di un vettore lungo una curva chiusa. Fu un buon lavoro, accurato, in alcuni punti addirittura brillante, grazie all’eleganza dell’esposizione.
Il quarto quesito lo lasciò di stucco. “Si supponga che per un passeggero di eli-jet la probabilità teorica di un incidente sia 1/1000. Tizio incorre nell’incidente e viene preso a bordo da Caio che lo trasporta all’ospedale. Determinare la probabilità di un nuovo incidente durante il tragitto. (Il candidato osservi che pur sullo stesso veicolo la probabilità dei due passeggeri è diversa: per Caio è 1/1000, Per Tizio - due incidenti nella stessa giornata - è 1/1000 x 1/1000 = 1/1000000).
Evidentemente quelli del Centro si erano impazziti. Mai visto un problema così stupido. Lo rilesse con maggiore attenzione e un’ira sorda lo invase. — Porci! — mormorò. Si coprì subito la bocca con una mano, quasi a voler trattenere con quel gesto la parola ormai sfuggita. Forse non l’avevano sentito, forse il microfono non era sensibile fino a quel punto. Porci, pensò, fetentissimi porci! Il quesito nascondeva un tranello, un altro ci sarebbe caduto dentro a capofitto ma non lui, Guido Alberici.
Prese la penna e senza esitazione scrisse: “Il quesito è viziato nella forma e nella sostanza. I due passeggeri corrono lo stesso rischio, poiché contrariamente a quanto si afferma nel testo, la probabilità che Tizio incorra in un secondo incidente è ancora 1/1000, essendosi il primo evento già verificato”.
Con quella risposta si sarebbe aggiudicato almeno cinquanta punti in più. Infilò l’elaborato nella fessura e si fregò le mani, soddisfatto. Nel complesso, l’esame stava prendendo una piega favorevole. Ora aveva a disposizione quasi venti minuti per riposare la mente.
La voce metallica dell’altoparlante lo fece sobbalzare. “Il candida to 176 abbandoni l’aula!”
Si levò un mormorio lungo, ovattato. L’uomo del tavolo 176 si alzò, pallidissimo. La sua faccia era tesa nello spasimo. Si guardò intorno quasi a sfidare tutti quegli occhi fissi su di lui e tentò di sorridere. Non sapeva decidersi ad allontanarsi dal tavolo.
“Candidato 176!” ripeté la voce. “Infrazione dell’articolo 19 del regolamento. Abbandonare l’aula, prego!”
Uno di meno, pensò Guido. Ma che cosa s’era messo in testa, quel babbeo! Manipolare appunti sperando di non essere visto. Evidentemente aveva tentato il tutto per tutto e gli era andata male.
L’uomo si allontanò a testa bassa.
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