Il bisogno è esprimere con veemenza e fermezza la centralità, la necessità di una riflessione che fa dell’antiantropocentrismo un motivo di profonda convinzione personale, oserei affermare esistenziale.
È una contraddizione apparentemente palese quella appena espressa: evidenzio un desiderio di vita, di vitalità, negando al contempo la centralità dell’essere umano, quindi ricusando l’importanza della stessa vita biologica, che è sinonimo dell’esistenza stessa. I motivi per dissentire, per allontanarmi dal genere umano, possono essere differenti da quelli che gli esponenti dell’antiantropocentrismo propugnano: c’è chi ha completa sfiducia nell’umanità, chi invece l’ha completamente in odio, altri ancora cercano una via ascetica, anelando a un amore fraterno con gli animali che rivestono, nei loro pensieri e sentimenti, un ruolo di sensibilità e giustezza superiore all’umano stesso. Io mi annovero tra questi ultimi, pur riconoscendo in me alcuni tratti delle tipologie precedenti.
Sono intimamente convinto dell’assoluta inutilità dell’umanità. Questa è anzi un danno, un virus, un’infezione; siamo tutt’altro che centrali nell’universo, tutt’altro che fondamentali; abbiamo colonizzato questo pianeta distruggendo per sopravvivere, diffonderci, moltiplicarci, pretendendo un rispetto militare da ogni altra forma di vita: chi non ci aiuta, o minaccia, va ammaestrato o annientato. Siamo anche, però, schegge di energia senziente intrappolata dentro un involucro carnale che limita fortemente ogni percezione, ogni aspirazione all’assoluto. Sappiamo bene che ogni volontà infinita interiore si scontra con i limiti imposti dall’essere incarnati, dall’essere umani, appunto. Non riusciamo seriamente a oltrepassare le nostre barriere fisiologiche e biologiche.
La pura libertà di esistere ubiquamente, dell’essere un flusso di dati senzienti, spirito e volontà; dell’essere affrancati dalla schiavitù dei sensi, dalla fame, dagli ormoni e fluire, finalmente svincolati dalle necessità che ci costringono a scendere a patti continui con il lato più oscuro del nostro umanismo, che identifichiamo con il concetto di “male” (ovvero qualsiasi cosa contraria al benessere corporale e psichico) è una necessità che mi anima; non voglio limiti al miglioramento del mio essere senziente. Comprendere, acquisire conoscenze che non siano circoscritte dalle esigue capacità cerebrali, dettate da un modello esistenziale che ben difficilmente riesce a ergersi oltre le tre dimensioni, è lo stimolo che mi spinge verso lo spostamento delle frontiere, che è in opera già con il Transumanesimo e che confido sfoci poi nel Postumanismo. La rimappatura del concetto di vitale passa anche attraverso la ridefinizione del concetto di vita: un’evoluzione che sa di rivoluzione, di rivolgimento che penetra in altri modelli dimensionali e che si allontana dal classico avvitamento culturale e cognitivo proprio del dominio umano, dove spesso la possibilità di scelta si riduce a una oppure al suo contrario (ovvero al suo aspetto speculare). La terza via spesso non esiste, o se esiste raramente rappresenta davvero un’alternativa; quanti esempi abbiamo di questa dualità? Tanti; in politica: due poli e la terza via che si configura come una stampella dell’uno o dell’altro. Nella religione cristiana, che professa il bene e avversa il male – quanti riconoscono che il male, il culto di Satana, non è altro che la specularità del cristianesimo? Nell’empirismo dell’esperienza quotidiana, dove s’intuisce che se la via da prendere non è a destra, probabilmente sarà dalla parte opposta.
La tridimensionalità del pianeta su cui viviamo, nella nostra esperienza, è schiacciata su due sole dimensioni, e ciò comporta appunto una prevedibilità di scelte che tipicamente sono due: o questo, o quello. Noi vediamo un film in bidimensionale, leggiamo pagine a due dimensioni, ascoltiamo sonorità percependole da due punti di ascolto (le orecchie), per cui sentiamo a destra e a sinistra. Estremizzando (o semplificando) il discorso, quasi tutto quello che è alla nostra portata è identificato da una coppia di valori: siamo sulla terraferma o nell’acqua, abbiamo due gambe, due braccia, due mani, due occhi; molto si rapporta al dualismo e questo, probabilmente, perché in tal modo riusciamo a manovrare meglio la tridimensionalità intrinseca alla nostra natura.
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