
In realtà la parte che gli è stata affidata è più complessa di quanto potrebbe apparire. Rutledge pensa alla carriera, certo. Ma sa che con il programma “source code” può salvare milioni di vite, soprassedendo su un unico, piccolo problema etico. Su di lui pesa quindi un continuo interrogativo che il regista racconta così:. “È una brava persona? Oppure è cattiva? Abbiamo provato a interpretarlo in modi diversi per scoprire chi sia veramente. Rutledge ha una ragione molto comprensibile per cui è ciò che è. Qualsiasi cosa faccia, non importa quanto nefanda possa apparire, c’è una giustificazione alla fine. Vuole salvare quante più vite possibili. È solo una questione di sfortuna per il povero Colter Stevens che sia lui a dover sostenere tutto il peso di questa situazione”. Per calarsi meglio nel personaggio, Wright si è messo a studiare tutte le più recenti scoperte della meccanica quantistica, cercando di entrare nella testa degli scienziati, dando verosimiglianza non solo alla sua parte, ma all’intera storia. Dopo tutto, tiene a chiarire, le tecnologie alla base di Souce Code non sono così inverosimili: “Non sappiamo cosa stia avvenendo là fuori. È un viaggio emozionante che farà riflettere ed emozionare il pubblico”.
Source Code ha convinto in realtà prima gli stessi attori. Tutti ne sono rimasti affascinati. Secondo Jeffrey Wright, il film possiede “un tema di fondo che parla del dovere, del sacrificio, dell’onore, che il pubblico coglierà certamente”. Per Vera Farmiga, Source Code riesce a comunicare allo spettatore un modo nuovo di vedere la vita. “I buoni film possono aiutarci e ricordarci di guardare dentro di noi”, assicura. Ricorda un po’ l’inner space di Ballard. Non sarebbe male se anche la fantascienza cinematografica ripartisse da lì.
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