Durante tutti gli anni Venti si continuarono poi a perfezionare le tecniche nate durante il cinema degli esordi. Questi progressi daranno i frutti migliori nei successivi anni Trenta ma è utile ricordare alcune tappe importanti attraverso le quali si è poi arrivati ai mirabili risultati del decennio successivo. Con Moster of the past (Pathé, 1923) e con The Lost World (Harry Hoyt, 1925) si consolidò definitivamente la tecnica della Stop motion anche grazie all’apporto del nascente talento Willis O’Brien, destinato a una lunga e brillante carriera nel settore. Sul versante del colore, il Kinemacolor di George Albert Smith, inventato nel 1906 e poi lanciato commercialmente fino alle porte della Prima Guerra Mondiale, fu ben presto sostituito dal Technicolor che sarà destinato a imporsi come standard negli anni successivi e che vide la sua prima apparizione nel film The toll of the sea (Chester M. Franklin, 1922). Strano a dirsi, ma il cinema 3D, oggi tanto in voga, fece la sua prima apparizione proprio in quegli anni, con il film The power of love (Nat G. Deverich, Harry K. Fairall, 1922).Infine, dopo la metà degli anni Venti, fece la sua comparsa un’altra importantissima tecnica cinematografica: il sonoro, le cui prime rudimentali apparizioni risalgono a film come Don Juan (Alan Crosland, 1926) e al più noto The jazz singer (Alan Crosland, 1928).
In conclusione si può affermare che, alle porte degli anni Trenta, giunsero a maturazione alcune tecniche cinematografiche nate con la nascita del cinema e perfezionate con passione e ingegno durante il primo ventennio del XIV secolo. I tempi erano quindi maturi per il boom degli effetti speciali destinato a segnare il cinema statunitense del periodo successivo.
Le tecniche. Matte
Tra le tante tecniche che hanno contraddistinto la produzione cinematografica degli anni Venti analizzeremo quella del Matte (mascherino). Si tratta essenzialmente di combinare due o più immagini in un’unica immagine finale. Genericamente questa tecnica era usata per combinare un proscenio (foreground) dove agivano gli attori o comunque l’azione scenica, con uno scenario di ambientazione retrostante (background) che poteva essere una pittura (Matte painting) o un modellino in scala (maquette). Per ottenere questa composizione dell’immagine si procurava di mascherare una parte del fotogramma in modo che non fosse esposto durante la ripresa. Poi si combinavano i vari fotogrammi mascherati in modo che potessero essere filmati dando come risultato finale un film “compositato” e cioè risultante dall’intarsio delle varie pellicole mascherate. In realtà la tecnica del Matte si poteva ottenere con due procedimenti differenti.
Il primo, chiamato In-camera matte shot e inventato da Norman Dawn (ASC[4]), consisteva nel posizionare davanti alla Macchina da Presa un vetro appositamente dipinto di nero nelle parti che non dovevano essere esposte alla pellicola e che infatti sarebbero poi state sostituite dalle immagini di un background dipinto o comunque di uno scenario diverso.
Il secondo sistema, assai più sofisticato e complesso, prese il nome di Bi-pack process e non consisteva nella manipolazione del negativo originale così come accadeva nel metodo di Dawn, ma permetteva di arrivare a una stampa di un nuovo negativo nel quale erano stati “compositati otticamente” le diverse pellicole contenenti ciascuna alcuni dei vari elementi della scena (azione degli attori, scenografie in primo piano e in background, eccetera…).
La tecnica del Matte e i suoi assunti teorici è stata perfezionata nel corso del tempo ed è tuttora alla base delle più recenti e avanzate tecnologie di compositing digitale. La grande differenza tra la doppia esposizione - che Goeorge Méliès fu tra i primi a usare - e la successiva adozione delle Matte sta infatti nella cancellazione automatica dello sfondo dove si trovano elementi di primo piano e viceversa. Qualcosa che oggi potrebbe sembrare banale, ma che all'epoca, e per altri settanta anni, ha rappresentato la più grande sfida tecnica nel campo degli effetti visivi.
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