Per la prima volta nella storia della letteratura il rapporto con la macchina non è visto in un’accezione negativa, ineluttabile, da evitare. Il Cyberpunk delinea una nuova relazione con la tecnologia, che permette, difatti, la dilatazione delle capacità sensoriali dell'uomo e finalmente il superamento dei suoi limiti.Ma non è certo alla science fiction classica che gli autori posano il loro sguardo, quella per intenderci dell’esplorazione spaziale. Sterling, nell’introduzione all'antologia Mirrorshades (1986), considerata il manifesto del movimento, è molto chiaro sugli scrittori che hanno influenzato maggiormente il loro lavoro: “I cyberpunk coltivano una predilezione particolare per la fantascienza più visionaria: l’inventività spumeggiante di Philip José Farmer; il brio di John Varley; i giochi sulla realtà di Philip K. Dick; l’aereo e pimpante beatnik tecnologico di Alfred Bester. E un omaggio speciale a un autore che è stato capace più di ogni altro di integrare tecnologia e letteratura: Thomas Pynchon”. A questi autori bisogna aggiungere almeno James Graham Ballard, Samuel Delany e William S. Burroughs, esponente di spicco della Beat generation. Va aggiunto, che ad utilizzare per primo la parola Cyberpunk per definire questo nuovo genere di storie – che di fatto faceva compiere alla fantascienza un decisivo passo in avanti – fu il critico ed editor Gardner Dozois, anche se il termine "cyberpunk" venne coniato dallo Bruce Bethke (era il titolo di un suo racconto) nel 1983.Accanto alla riflessione sulle conseguenze di una società sempre più tecnologica, i cyberpunk hanno esplorato molti altri temi di stringente attualità: la fusione della carne dell’uomo con marchingegni artificiali, l’economia delle multinazionali e le contraddizioni del globalismo, l’irruzione della simulazione della realtà (un tema già caro a Dick), le conseguenze economiche e sociali dell’informatizzazione della società e lo spaesamento dell’individualità di fronte a tutti questi mutamenti. Senza dimenticare la stretta relazione con la cultura pop.
I protagonisti delle loro storie, a cominciare dallo stesso Case di Neuromante, sono prostitute, biscazzieri, punk, trafficanti, ladri, pirati informatici, balordi, senza un lavoro e desiderosi solo di sperimentare nuove tecnologie o droghe che producano una effimera felicità. In altre parole, sono degli emarginati, eroi solitari, costretti a combattere contro le multinazionali senza scrupoli, semplicemente per sopravvivere. Fanno tutti parte di un gioco che, loro malgrado, li vede coinvolti fino alle estreme conseguenze.
Senza dimenticare la riflessione sullo spazio virtuale in cui si muovono gli eroi e gli antieroi del cyberpunk. Cyberspace, infatti, è il termine coniato da Gibson - prima nel suo racconto La notte che bruciammo Chrome e poi reso popolare con Neuromante – per designare lo spazio virtuale creato dalla connessione di migliaia di computer, disseminati in ogni dove sul nostro pianeta. Se per realtà virtuale s’intende quella branca dell'informatica tesa a costruire una macchina che simuli stimoli sensoriali, visivi e sonori, in modo da dare all'utente la sensazione di essere realmente in uno spazio differente da quello fisico in cui si trova, allora anche qui, lo scrittore americano ha anticipato la realtà. I primi studi sulla realtà virtuale, infatti, risalgono alla fine degli anni Sessanta, ma è solo negli anni Novanta che questo nuovo tipo di tecnologia ha trovato applicazioni anche pratiche, dalla medicina all’industria dei videogiochi.
Sul piano strettamente letterario, dunque, il movimento Cyberpunk è stato l’ultimo a rinnovare, a elargire una boccata d’ossigeno a tutta la fantascienza, costituendo di fatto un vero e proprio fenomeno culturale che ha messo radici anche nel sociale e in altri mass-media.
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