Da quanto descritto può sembrare che il racconto, pur avendo differenti modalità di forma e costruzione, resti comunque una scheggia, sia pure brillante, del romanzo. Spesso in effetti lo è. Ma le caratteristiche e le potenzialità del racconto non finiscono qui. Finora ho scritto del racconto tradizionale, quasi d’obbligo nella narrativa di genere. Ma oltre alla narrazione d’un “fatto”, il fine del racconto può anche essere trasmettere una sensazione, un’illuminazione, un’atmosfera, l’alito di una emozione. La Biblioteca di Babele di J.L. Borges non ha protagonisti (tranne il Bibliotecario, del quale però sappiamo molto poco, che non agisce né lo “vediamo”: si limita a parlare, non è detto a chi), né vi sono dialoghi; l’intero testo è la dissertazione su una sterminata biblioteca contenente tutti i libri possibili. La bellezza di questo breve capolavoro sta appunto nella descrizione, nei sottilissimi ragionamenti, nelle allegorie palesi o nascoste, nei simbolismi, nei problemi di logica irrisolti o paradossali che Borges fa nascere a catena. Ed è così per tutti i suoi migliori racconti (che non sono pochi). Cosa trasmette al lettore La Biblioteca? Stupore, ammirazione, riflessione.Anche divertimento: perché Borges gioca con il lettore, con la filosofia, la logica, con la religione e tanto altro. Difficile, impossibile, scrivere un romanzo su una simile falsariga, ma anzitutto insensato: La Biblioteca è opera completa di per sé. Raramente, anche la fantascienza presenta storie fuori dal suo standard, che – un po’ paradossalmente – è quello d’una narrazione “realistica”. Ricorderò i racconti della New Wave (sperimentali, ma durati solo una stagione). Ballard, Lafferty, Delany, Disch, Ellison, Malzberg, Moorcock, Spinrad. In particolare segnalo una storia breve: Una notte (The Night of the Nickel Beer, 1967) di Kris Neville, autore purtroppo pochissimo conosciuto in Italia, vissuto a cavallo tra l’Età d’Oro e la New Wave. A tarda notte un uomo esce di casa senza meta, dirigendosi al porto. Cova una insoddisfazione indefinibile, legata al trascorrere implacabile degli anni. C’è una fitta nebbia, un’atmosfera di irrealtà. Entra in una birreria, è prossima l’ora di chiusura. Alcuni giovani, fra cui una ragazza, credono di riconoscerlo, ma non sanno bene perché. Lo invitano a bere birra con loro, egli stesso ne offre ai presenti. Vestono un po’ all’antica. La bevanda ha un insolito sapore. Uno dei presenti suona la chitarra. Si parla del più e del meno; l’uomo ha l’acuta, lacerante percezione di rivivere momenti, odori, modi d’essere dimenticati. La birreria chiude, la ragazza lo invita, quasi supplicandolo, a fare due ultime chiacchiere con lei in auto. I due escono, si appartano nella vettura. È forte, quasi violenta l’evidenza di un mondo irrimediabilmente perso, di qualcosa che tuttavia li accomuna. Turbato, il protagonista interrompe bruscamente il dialogo con la donna e torna verso casa. Basata tutta su sensazioni e atmosfere legate al rimpianto di un momento, all’impossibilità di fonderlo con il presente, questa storia si regge soprattutto sulla perizia narrativa dell’autore. Improbabile se non inutile trarne un romanzo, ampliare i tempi di ciò che vive di pochi istanti.
Con il romanzo entriamo in un’altra dimensione.
Certamente l’autore si ritrova dinanzi a un lavoro complesso e più faticoso.
Qui farò un più diretto riferimento alla mia esperienza di scrittura.
Nell’ambito fantascientifico io nasco come autore di storie brevi. Alcuni primi tentativi di romanzo sono rimasti incompiuti. Ma più che riprendere vecchie scritture preferisco inventarmi cose nuove, affrontare nuovi problemi: perché scrivere, per quanta pratica si faccia, presenta ogni volta interrogativi tecnici all’autore, quasi come se si scrivesse la prima volta.
Proseguii affrontando temi i più disparati. La mia maxi-antologia personale L’essenza del futuro (Perseo Libri), raccoglie in oltre 600 pagine una settantina di storie (da quelle brevissime al racconto lungo) scritte dal 1957 al 2007 ed è suddivisa in gruppi tematici: racconti di esordio, fantascienza e politica, fantamore, fantasesso, fantareligione, racconti sf umoristici, di fantaecologia, di fantamusica, fantastorie scritte a quattro mani… e altro ancora. Quando decisi di scrivere un romanzo (Gli universi di Moras, 1980), partii con l’idea di un racconto, ma strada facendo mi accorsi che le pagine crescevano e maturavo altre idee da sviluppare. Fu una gestazione che durò un decennio: scrivevo qualcosa e abbandonavo per mesi. Alla fine trovai il tempo di concluderlo.
Dopodiché tornai ai racconti.
Il quinto principio è un romanzo nato quasi per volontà altrui. Come scrivo nell’intervista in coda al volume fu Elisa, la mia compagna, a insistere per farmi tentare di nuovo un’opera più corposa e “visibile”. Il romanzo desta più attenzione di una raccolta di pezzi brevi… Abbiamo visto perché.
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