Come spero d’essere riuscito a far intendere, il racconto è un’arte a sé stante, né migliore né peggiore del romanzo. Non ha senso fare paragoni, sono modelli autonomi, e hanno anche finalità differenti. La narrazione breve, come dicevo, punta l’obiettivo sulle conseguenze di un accadimento; quella lunga vuol raccontare con ampio respiro una serie di eventi che si intrecciano, più o meno drammatici, con varie sfaccettature consentite dalla presenza di più personaggi e che conducono, dopo una crisi, alla catarsi. Se il racconto è bello, lo è come racconto; così il romanzo. Nella storia della letteratura abbiamo grandissimi nomi ricordati quasi esclusivamente – o soprattutto – per i loro racconti. Jorge Luis Borges, Franz Kafka, Edgar Allan Poe, Italo Calvino, Ambrose Bierce. Howard Phillips Lovecraft, Dino Buzzati. Gettiamo nel cestino? Posso proseguire: Čechov, Gogol’, Maupassant. Hawthorne, Twain, O’Henry, Joyce, Saroyan. Pirandello, Levi, Landolfi, Tabucchi, De Luca. I celeberrimi Quarantanove racconti di Hemingway. I fondamentali Racconti romani di Moravia, che diedero una svolta alla letteratura e alla cinematografia italiane. Quanto alla fantascienza, quasi tutti i critici del settore si sono trovati concordi nell’asserire che il racconto, o anche il racconto lungo, ne siano sempre stati la misura più idonea. Wells stesso teorizzava il racconto come storia avente un unico “centro”. E difatti le prime riviste americane proliferarono per anni pubblicando racconti o racconti lunghi a puntate. Possiamo dire che la fantascienza moderna è nata nella dimensione del racconto, e sia riuscita in questo modo a rappresentare un ventaglio sterminato di idee, di variazioni su quelle idee, e variazioni sulle variazioni, producendo centinaia di autentici capolavori. Non per nulla Umberto Eco definì negli anni Sessanta la science fiction come una narrativa di idee. L’autore ha uno spunto, per esempio immagina che sia possibile fare acquisti a rate coinvolgendo nel rimborso – non proprio eticamente – anche i suoi figli, nipoti, pronipoti e discendenti. È un’idea che venne a Robert Sheckley, e a quei tempi appariva paradossale: ne fece un racconto breve, Il costo della vita (Cost of living, 1952). Un piccolo capolavoro di satira sociale, peraltro anche profetico (la “finanza creativa” di Tremonti, che come si dice ora “spalma” i debiti pubblici su più generazioni). Non romanzo mancato, dunque, ma opera pienamente compiuta.
Il racconto e il romanzo
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Rubrica Alien Scrivens
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