Si può ricordare il 2010 per tante cose, ma una è sicuramente il colpo di coda della strategia in tempo reale, genere che molti davano per spacciato, destinato all'oblio un giorno per colpa delle console, l'altro per via degli sparatutto, e in effetti impantanato in un'epoca difficile, costellata di fallimenti che hanno portato all'inesorabile declino di serie famose, come Command & Conquer, e alla chiusura di studi che hanno fatto la storia, come Ensemble, la casa di Age of Empires, smantellata in fretta e furia l'anno scorso. Proprio quando ogni speranza pareva ormai perduta, ecco che a rischiarare il cammino ci pensa però Blizzard, rimasta tra le poche certezze del digital entertainment e, insieme a Valve, custode di un'arte antica di fare videogame, la miglior interprete di un mondo, quello pc, che parecchie software house si rifiutano o non sono più in grado di capire. Questa lingua dimenticata Starcraft II: Wings of Liberty la parla invece benissimo e il successo – un milione di copie alla “prima” - dimostrano quanta gente sia ancora disposta ad ascoltare, se la sinfonia è suonata nella maniera giusta. La colonna sonora orchestrale del gioco è una bomba, così come ogni altro aspetto di una produzione da kolossal che apre una nuova trilogia nel segno dei Terran, gli umani del videogame, a cui seguiranno i capitoli più specificatamente dedicati a Protoss e Zerg, le fazioni aliene delle saga. Ma non è questo il punto.

Starcraft II è contemporaneamente riforma e controriforma di un genere che la stessa Blizzard, negli anni '90, ha contribuito a definire. Come spesso accade, un simile processo passa per la razionalizzazione estrema degli elementi, un delicato lavoro di ripulitura che mira a distillarne l'essenza purissima, alla ricerca della sostanza originale, quello spirito uno e trino che si riflette in qualsiasi ambito del videogame, composto da variazioni sul tema carta, sasso e forbice del principio intramontabile crea le truppe, costruisci la basi e raccogli le risorse, immerso in un mare di unità grandi e piccole, resistenti o veloci, anima di un gioco di incastri dove ciascun pro viene bilanciato dal suo contro. Le pietre miliari si ottengono scavando fino al cuore del discorso e Starcraft II è in fondo il grande classico del 2010, tuttavia non manca, in questa sua spinta restauratrice, di spostare la linea di orizzonte un po' più in là, espandendo intuizioni da sempre care a Blizzard e che adesso prendono forma imponente.

Wings of Liberty non fissa infatti solo il modello di come si gioca oggi uno strategico in tempo reale (in apparenza non troppo diversamente da come si faceva ieri, anche se ogni meccanismo è stato oliato e ogni ingranaggio ricalibrato a caccia della fluidità assoluta), ma anche di come si racconta una storia in rts, un sontuoso paradigma narrativo che la casa di World of Warcraft riesce a porre su un piano non distante dai più celebrati videogame di ruolo, con uno stile a patchwork tutto suo che - mentre non smette di richiamare diorami, trenini, miniature e soldatini - mischia nel quadro tecniche, linguaggi e influenze. Il racconto salta in primo piano nei filmati in computer grafica, è incastonato nell'azione come una sorta di fumetto, si adagia sullo sfondo tra una missione e l'altra dove la verve descrittiva si centellina a clic di mouse, per risalire prepotentemente in superficie in concomitanza con il paio di diramazioni decisionali offerte dalla trama, space western all'ombra dei precursori e con diversi legami con gli stilemi del fantasy, a cominciare da una certa passione per i nani, anche se il merito più grande è la maturità dell'esposizione di un mito tragico riletto in fantascienza, utilizzando un cast di personaggi, specialmente il protagonista vecchio, stanco e alcolizzato, lontani dagli stereotipi giovanilistici di molti videogame. In uno scenario digitale dominato dall'eterna adolescenza, Starcraft rompe gli schemi a suon di barbe incolte crescendo insieme al suo pubblico, i ragazzi del primo episodio del 1998, un passato che Blizzard non rinnega, anzi da cui riparte poggiando lì, saldamente, le fondamenta della seconda era, nella quale vengono recuperati anche spunti elaborati dal fratello Warcraft III.

Tra i pilastri di questa nuova stagione degli rts c'è ovviamente l'online e un'infrastruttura, Battle.net, che, un po' come Steam di Valve, non è appena il luogo dove scontrarsi con gli altri contendenti, ma una community dal peso relativo di un Facebook, un Twitter o un Myspace, nonché attualmente l'unico vero campo di battaglia in cui comandare tutte e tre le razze di Starcraft II, sviscerandone le specificità, in attesa delle campagne singleplayer dedicate ai mistici Protoss e i viscidi Zerg. Senza dubbio, i nuovi standard fissati con Battle.net per la dimensione multiplayer sono tra le ragioni del successo che premia il campione di incassi Blizzard e bastona altri.

Ma più sottilmente è probabile che i dati sottendano anche il plauso a un videogame programmato con quella cura che andrebbe sempre riservata a un mondo, quello dei pc, caratterizzato da una disparità spaventosa tra sistemi e configurazioni, verso cui sembra che ormai solo Valve e Blizzard siano attente, mentre il grosso degli sviluppatori si limita a correre al rialzo di gigabyte e megahertz. Starcraft II veste invece sempre a pennello. Tutto è personalizzabile, scalabile, adattabile, in modo che chiunque possa trovare un compromesso consono al proprio pc, non perché visivamente il gioco non sia in grado di stupire, al di là dell'ottima direziona artistica, con fisica evoluta, texture ad alta risoluzione ed effetti speciali assortiti, ma perché si tratta di un gioiello di programmazione efficace che ha compreso intimamente come il videogiocatore di oggi non possegga per forza una costosa centralina illuminata al neon, quando con cinquecento euro si può acquistare un notebook al centro commerciale. E sarebbe sciocco dimenticarsi di loro.